Nell’ennesima crisi di Governo che ci troviamo a vivere, causata da una classe politica deplorevole, fare una riflessione sulla questione ecologica potrebbe risultare una geremiade quasi inopportuna.
Io penso invece che non abbiamo più tempo da perdere. Ragion per cui diventa obbligatorio da parte della società civile, delle imprese, dei movimenti e delle associazioni, mettere in essere comportamenti virtuosi che contribuiscano a cambiare lo stato di cose rispetto allo sconquasso ambientale.
Del resto se la politica non ha la capacità di prendere in mano le sorti del pianeta, l’umanità deve concorrere a dare una risposta concreta a questa situazione di degrado.
Da decenni assistiamo ai simposi delle governance internazionali dove il gotha della scienza espone le proprie diagnosi rispetto al cambiamento climatico e sollecita i politici a prendere impegni che, con grave miopia (non voglio pensare ad altro), vengono poi puntualmente disattesi.
Ciò a cui assistiamo negli ultimi tempi ci dimostra però che il collasso sta avvenendo più velocemente di come immaginassimo e di quanto i modelli avessero predetto.
Assistiamo inermi al realizzarsi degli scenari peggiori: la siccità, le ondate di calore, il record di mega incendi, il crollo dei ghiacciai, la perdita dei raccolti, i cicloni e gli uragani. Fenomeni meteorologici estremi a cui si sommano il biennio di pandemia, l’inflazione in aumento, l’instabilità politica e i conflitti armati che interessano oltre 50 Paesi del mondo. L’emergenza climatica è qui e ora e colpisce miliardi di persone nel mondo che contestualmente si trovano a dover fare i conti anche con altre crisi.
Previsioni e analisi dei dati non bastano più. Lo ribadiamo ancora: è tempo di agire, ora.
Parlare di previsioni, di dati scientifici o obiettivi di riduzione delle emissioni non è dunque più sufficiente. Bisogna passare all’azione, supplire all’assenza della politica e adottare comportamenti virtuosi che possano rigenerare quel nostro modo di stare al mondo che fa ormai acqua da tutte le parti. Nell’affermare questa necessità vorrei fornire anche un ambito concreto dal quale partire: il sistema alimentare. Il rapporto del cibo con l’ambiente deve cambiare in modo radicale, perché con oltre il 30% delle emissioni di Co2 imputabili al sistema alimentare, il rischio è che questo finisca per mangiarsi il pianeta.
Cambiamo insieme il sistema alimentare
Imballaggi di plastica
Deve cambiare profondamente l’uso smodato della plastica monouso; riflettiamo sull’assurdità della confezione di tre fette di prosciutto dove c’è più plastica che sostanza. Plastica che inquina i mari, le falde acquifere, i suoli e infine anche i nostri stomaci attraverso le microplastiche che finiamo per ingerire.
Spreco
Pensiamo poi allo spreco alimentare che si porta appresso come una valanga centinaia di migliaia di ettari di suolo e metri cubi d’acqua destinati a produrre cibo che diventa spazzatura. Non va dimenticato che produciamo cibo utile a sfamare 12 miliardi di viventi, e malgrado ciò sia più del necessario, quasi due miliardi e mezzo di persone vivono in condizioni di insicurezza alimentare non potendo accedere a una alimentazione adeguata; mentre altri due miliardi soffrono a causa della ipernutrizione e del consumo di alimenti ultra processati.
Consumo di carne
Dobbiamo porre fine con misure il più rapide possibile, alla vergogna degli allevamenti intensivi. Sono una forma di crudeltà legalizzata contro esseri inermi trasformati in macchine produttive.
Compromettono la nostra salute: pensate che con oltre 10mila decessi ogni anno, su 33 mila circa in Europa, l’Italia ha il triste primato delle morti da resistenza agli antibiotici. Sotto accusa sono proprio gli allevamenti intensivi: il 70% degli antibiotici prodotti nel mondo è impiegato proprio nei grandi allevamenti industriali, dove agli animali sono somministrati regolarmente antibiotici per prevenire le malattie, molto comuni a causa dell’affollamento in spazi ridotti, oppure per favorire l’accrescimento degli animali. Questi antibiotici finiscono nelle deiezioni, di qui nel suolo e nelle falde acquifere e quindi a noi. Con il tempo, i batteri sviluppano resistenza e gli antibiotici diventano inefficaci nel contrastarli. E sono un disastro per l’ambiente: pensate che con il 14,5% delle emissioni totali di gas serra, il settore zootecnico è una delle principali fonti di gas climalteranti, più del settore dei trasporti, che contribuisce per il 13%.
Tutte e tutti siamo chiamati in causa: dobbiamo limitare e in modo deciso il nostro consumo di carne, rivolgerci solo a produzioni attente al loro impatto ambientale e alla salute degli animali, ed essere consapevoli della necessità di una transizione proteica dei nostri sistemi alimentari verso opzioni più sostenibili e vegetali, tra cui il patrimonio di biodiversità dei legumi.
Per finire è imprescindibile rimettere al centro la sovranità alimentare.
La situazione del grano ucraino che non riesce a uscire dai porti e che mette in ginocchio diversi Paesi, è la dimostrazione delle conseguenze drammatiche che si verificano trascurando questo importante principio. Sovranità alimentare significa mantenimento di presìdi colturali e realtà agroalimentari che fanno parte della storia di ogni paese. Garantire questo patrimonio di biodiversità territoriale significa creare i presupposti per una certa autonomia alimentare che è precondizione necessaria per la stabilità politica e la piena realizzazione di ogni popolo. Sarebbe bello che queste considerazioni venissero accolte da chi ci governa.
I mesi che ci attendono, perlomeno qui in Italia, saranno però caratterizzati dalle ennesime promesse elettorali volte all’accaparramento di un pugno di voti in più. Ecco allora che attivismo e mobilitazione devono dimostrare di essere la politica vera, quella dove si gioca molta della partita del nostro futuro. La società civile deve agire unita per andare oltre a un mediocre presente politico.
Abbiamo iniziato tutti insieme un nuovo periodo storico, vivere la transizione ecologica nella sua pienezza significa fare in modo che i cambi di paradigma siano veri, reali. Promuoverli a partire dal cibo non è solo doveroso, ma anche possibile e alla portata di tutti.
Carlo Petrini
c.petrin@slowfood.it