L’irreversibilità è arrivata, i disastri climatico-ambientali sono sempre più frequenti e alcuni, come la desertificazione, in costante aumento.
È ora di smettere di riporre le nostre aspettative e le nostre speranze in incontri sterili che non fanno altro che mettere delle virgole laddove necessitiamo un punto esclamativo per affrontare una crisi mai vista prima.
Oltre un quarto di secolo è trascorso dalla prima Conferenza della Parti sulla Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e cosa è cambiato? Praticamente nulla, a partire dalla nostra illusione che queste riunioni possano fornire soluzioni rivoluzionarie in grado di sovvertire concretamente un futuro del Pianeta che di anno in anno si fa sempre più cupo.
In questo 2022, su tutto il globo, si sono intensificati fenomeni estremi come incendi, alluvioni e lunghi periodi di siccità; dobbiamo dunque smettere di prenderci in giro e ammettere che la sfida con la crisi climatica è stata persa. Le future generazioni saranno costrette a vivere cataclismi sempre più disastrosi.
La triste storia degli accordi laschi e disattesi
Se ci pensiamo bene da Berlino (1995) a Sharm el Sheik (2022) i rituali sono stati gli stessi: l’ultimo giorno viene reso pubblico un accordo, frutto di compromessi al ribasso dell’ultimo momento e quindi lacunoso e poco efficace; questo viene inizialmente osannato come la panacea di tutti i mali; per poi venire puntualmente disatteso. E il risultato finale è che nei fatti non cambia assolutamente nulla (o troppo poco).
Già, proprio i fatti sono quelli che contano. Sono questi a dirci che negli ultimi trent’anni, a discapito di tutti i buoni propositi, abbiamo inquinato il nostro Pianeta quanto i precedenti due secoli di industrializzazione. Gli avvenimenti ci pongono davanti a fenomeni estremi sempre più numerosi, sempre più repentini e sempre più impattanti. E sono dunque questi fatti che ci devono rendere disincantati davanti all’imminente e inevitabile arrivo di un vero e proprio sconquasso ambientale.
Illusione, disincanto, irreversibilità: tutti termini forti che richiamano uno scenario apocalittico. Allo stesso tempo però ci possono far aprire realmente gli occhi su tre questioni in particolare.
Il punto di non ritorno è stato ormai superato.
La prima: per trent’anni abbiamo riposto fiducia in un tipo di dialettica fatta di frasi come “siamo ancora in tempo”, “è tempo di agire” o “ci stiamo avvicinando al punto di non ritorno”. Questo è stato un metodo del tutto inefficace. L’inganno di avere ancora tempi e margini di manovra non ben definiti hanno posto le basi a un lungo e dannoso tergiversare: il punto di non ritorno è stato ormai superato.
Azione condivisa e unitaria
In secondo luogo, in un contesto come quello odierno, dobbiamo essere consapevoli che qualsiasi tipo di soluzione risulta irrisoria se non condivisa seriamente da tutti nello stesso momento; un’opzione che risulta essere ancora molto lontana dalla realtà. Le soluzioni pratiche che, seppur in piccola parte, si stanno già apportando – soprattutto attraverso azioni virtuose di alcuni singoli cittadini – non bastano più. E aggiungo: anche se la chiusura della COP 27 avesse innescato un vero e proprio cambio di passo in termini di lotta al cambiamento climatico, gli effetti tangibili li avremmo potuti verificare, non domani, nemmeno nei prossimi anni, ma solo a distanza di decenni.
Con questo voglio dire che, pur agendo ora in maniera decisa e unita, il raggiungimento degli obiettivi che da anni ci stiamo ponendo, per forza di cose – e per via dei tempi di reazione di un ambiente completamente saturo – avverrà ben dopo il 2030 e probabilmente oltre il 2050. Dobbiamo prendere coscienza di questo oltre che – terzo elemento – iniziare a ragionare seriamente sul fatto che forse ognuno di noi non è poi così pronto ad abbandonare buona parte delle comodità acquisite per adottare seri e profondi cambiamenti nel suo stesso modo di vivere.
L’impasse delle Nazioni Unite
In aggiunta a ciò, se con le Cop stiamo assistendo anno dopo anno all’impasse delle Nazioni Unite, attraverso la politica interna della stragrande maggioranza degli Stati, abbiamo la dimostrazione che l’intera impalcatura economica-produttiva non ha la men che minima intenzione di fermarsi a ripensare il modello imperante e affidarsi a nuovi approcci più ecologici.
Il contesto è delineato, ma non per questo dobbiamo interrompere le discussioni o peggio ancora cessare di assumere comportamenti virtuosi in tema di sostenibilità ambientale. Aprire gli occhi, ammettere di aver perso la sfida climatica, adottare del sano pragmatismo e dirsi le cose come stanno deve poter ampliare il nostro raggio di azione e non ridurlo.
Per quanto piccola e insignificante a livello globale, una buona condotta che mira alla salute degli ecosistemi (tutela della biodiversità, fertilità dei suoli, consumo di acqua e riduzione della dispersione di materiale plastico in ogni angolo del Pianeta sono provvedimenti urgenti che non possono più essere taciuti o passare in secondo piano) può far vincere piccole sfide locali; le quali possono generare risvolti positivi anche in campo sociale e dunque migliorare le vite di chi ci sta più vicino.
Le colpe di una generazione
Allo stesso modo le nostre azioni a livello locale devono essere mosse da un senso di responsabilità verso chi è costretto a vivere questa drammatica situazione senza esserne responsabile. Se ci fermiamo a pensare, nonostante il destino di ogni vita umana sia quello di sentir estinguere le proprie forze vitali, non è cosa comune smettere di agire e fare del bene con l’avanzare della fase del declino. Per questo, concludendo, mi voglio rivolgere alle persone che per questioni anagrafiche sento più vicine.
Sulle generazioni di chi oggi ha più di 50 anni grava il peso di una profonda colpevolezza. Come faremo a guardare in faccia un giovane adolescente che molto probabilmente pagherà sulla qualità della sua stessa vita (incendi, alluvioni, magari carestie, sicuramente grandi flussi migratori) le scelte scellerate che abbiamo continuato e perpetuare per decenni interi. Quello che, anche sotto forma di esempio verso i più giovani, dobbiamo scongiurare è il senso di passività e di indifferenza verso ciò che ci circonda, sia esso facile o difficile da affrontare.
Carlo Petrini
Da La Stampa del 20 novembre 2022
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