Si fa presto a dire sostenibilità!
La sostenibilità in vitivinicoltura, percezione, miti e prospettive.
La sostenibilità è come la felicità. Tutti ne parlano, ma spesso è un concetto inafferrabile.
Ecco perché durante il Merano WineFestival 2021 il NOI TechPark di Bolzano, con la collaborazione del Centro di Sperimentazione di Laimburg e della Libera Università di Bolzano, ha deciso di promuovere la tavola rotonda dal titolo “Si fa presto a dire sostenibilità!”, che ha messo in campo più voci e più sguardi per raccontare la sostenibilità nella sua complessità e interdisciplinarità. Il NOI (acronimo di Nature Of Innovation) è il parco scientifico e tecnologico dell’Alto Adige: raggruppa aziende, istituti di ricerca e facoltà universitarie con l’obiettivo di collegare il mondo della ricerca con quello delle imprese attraverso consulenze, servizi e progetti specifici e di diffondere il metodo scientifico fra la popolazione e le nuove generazioni.
Con la tavola rotonda di novembre scorso ha riunito docenti di diverse facoltà, dall’ingegneria alla chimica, passando per l’enologia e la sociologia e produttori, che si sono confrontati, insieme al pubblico, sulle pratiche attuali, sull’impatto economico e sociale, sulla percezione da parte dei consumatori e su quelle che possono essere le prospettive future della sostenibilità. Ne è uscito un dibattito ricco che – senza pretese di esaustività – partendo dal suolo e arrivando al consumatore finale, ha fatto emergere un leitmotiv importante: conoscenza, tecnologia e comunicazione sono e saranno le più importanti alleate dello sviluppo sostenibile.
Ecco alcune riflessioni che ci hanno colpito.
La sostenibilità parte dalla vigna
Così come la qualità del prodotto finale, anche la sostenibilità parte dalla vigna. Tanja Mimmo, docente di chimica del suolo e direttrice del Centro di Competenza per la salute delle piante, si è soffermata quindi su uno dei temi più caldi dell’agricoltura: l’utilizzo del rame. Si tratta di uno dei grandi protagonisti della produzione biologica, spesso percepito come una soluzione totalmente sostenibile. Ma è veramente così? «Il rame è un metallo presente nella crosta terreste – spiega Mimmo – ma non bisogna dimenticare che si tratta di un elemento chimico con azione fungicida. È utilizzato in agricoltura da molto tempo, oltre 150 anni, in grosse quantità e questo è uno dei motivi per cui è presente in elevate concentrazioni nel suolo. Si tratta, infatti, di un metallo pesante, che si accumula nel terreno. Per fortuna, negli ultimi anni, il suo utilizzo è stato regolamentato ed è oggi previsto un limite di 28 chili per ettaro in sette anni.»
Può sembrare strano ma, attualmente, la verità è che si sa molto poco su come il rame impatti sulla qualità e, soprattutto, sulla biodiversità del suolo: «Col mio gruppo di lavoro – ha raccontato Mimmo – stiamo indagando proprio questo aspetto. Quel che è certo è che un eccessivo utilizzo di rame ha un effetto tossico sulle piante e influenza la composizione delle comunità microbiche del suolo promuovendo l’incremento di alcune specie e la diminuzione di altre.» Sempre in tema di utilizzo di fitofarmaci in agricoltura, l’Unione Europea ha stabilito una riduzione del 50% entro il 2030.
Ma attraverso quali strade si arriverà a rispettare questo parametro? «La meccanizzazione è un grande alleato in questo processo. – Ha spiegato Sandro Liberatori, docente di meccanica agraria e direttore dell’Ente Nazionale Meccanizzazione Agricola – Attraverso la tecnologia, infatti, possiamo operare con grande precisione nei vigneti, intervenendo solo quando e dove è strettamente necessario ed evitando sprechi e dispersioni di fitofarmaci e fertilizzanti. Oggi sono molteplici le tecnologie disponibili, pensiamo ad esempio alla possibilità di conoscere con precisione, grazie ai sofisticati sistemi di analisi di immagine, le aree in cui è necessario un intervento. Attraverso questi sistemi possiamo sapere quali sono le zone in cui sta iniziando una patologia in vigneto e, quindi, fare solo trattamenti localizzati. O, ancora, pensiamo alla tecnologia relativa alle macchine irroratrici che, come previsto dalla normativa europea, devono essere progettate e costruite consentendo l’ottimizzazione dell’uso dei fitofarmaci per evitare di disperdere prodotto nell’ambiente come avviene, ad esempio, con il noto effetto deriva.»
La sostenibilità è un parametro della qualità
«Fino a trent’anni fa l’obiettivo dell’Alto Adige era aumentare la qualità in vigna e in cantina. – Ha ricordato Andreas Kofler, Presidente del Consorzio vini Alto Adige e Presidente di Cantina Kurtatsch – Oggi, invece, la nostra sfida è la sostenibilità. Stiamo lavorando affinché lo sviluppo sostenibile sia un obiettivo corale di tutti gli attori del vino altoatesino. È importante, infatti, che si capisca che la sostenibilità è oggigiorno un parametro fondamentale della qualità.» In quest’ottica il Consorzio vini Alto Adige ha stilato la propria Agenda 2030: «Si tratta di una strategia comune con traguardi tangibili e misurabili per una produzione vitivinicola all’insegna della sostenibilità. Si articola su cinque livelli operativi che corrispondono a cinque pilastri: suolo, vigneti, vino, territorio e società. – ha spiegato Kofler– Fra i diversi obiettivi ci sono l’eliminazione degli erbicidi sintetici, l’incremento e la tutela della biodiversità e la riduzione delle emissioni di CO2 durante il ciclo produttivo.»
Anche gli istituti di ricerca presenti sul territorio stanno lavorando a progetti in grado di fornire risposte concrete ai produttori in fatto di qualità e sostenibilità. Ne sono un esempio il lavoro del Centro di Sperimentazione di Laimburg guidato dal Ulrich Pedri e da Florian Haas con il quale si è indagato l’effetto del cambiamento climatico sulla coltivazione del pinot bianco e sulla qualità e tipicità dei vini ottenuti, e il progetto di ricerca di recente avviato dall’OenoLab della Libera Università di Bolzano che si focalizzerà sulle varietà resistenti alle malattie fungine (i c.d. vitigni Piwi): «La ricerca – ha spiegato Emanuele Boselli responsabile OenoLab e docente di enologia – ha l’obiettivo di confrontare almeno dieci vini prodotti in Alto Adige da vitigni resistenti con i vini convenzionali sia dal punto di vista della conservabilità, che della valutazione sensoriale. Inoltre, andremo a calcolare la riduzione dell’uso dei pesticidi e altre pratiche impattanti nei vigneti coltivati con Piwi. Non da ultimo, studieremo l’atteggiamento dei consumatori verso questi vini».
Si tratta di un progetto ambizioso, fra i primi che integrano lo studio della sostenibilità ambientale ed economica con quella sociale nel settore della vitivinicoltura e, in particolare, in relazione ai Piwi. «I risultati daranno un contributo alla definizione dell’attitudine alla tipicità dei vini ottenuti da vitigni resistenti – ha continuato Boselli – un aspetto molto dibattuto, non solo a livello della tecnologia di produzione, ma anche della qualità sensoriale e dei parametri analitici, che, sul piano legislativo, sono basati storicamente sulla valorizzazione esclusiva dei vini da varietà convenzionali. I vini da vitigni PIWI presentano caratteristiche compositive leggermente diverse, di cui si deve tenere conto, fra l’altro, per adattare le tecniche enologiche alle loro specifiche potenzialità.» Una volta ottenuto un vino di qualità con pratiche virtuose la sostenibilità si declina, poi, in altri temi sempre legati al prodotto, ma che stanno più a valle del processo: «Pensiamo alla scelta del vetro o del tappo. Si ritiene sempre che il contenitore ideale sia la bottiglia di vetro chiusa col tappo di sughero, ma, dal punto di vista dell’impronta di carbonio, la filiera del vetro presenta criticità che dovranno essere affrontate. Allo stesso modo dovranno essere sviluppati nuovi approcci per i sistemi di chiusura, che riducano drasticamente il difetto di tappo e l’ossidazione del vino.»
La sostenibilità poggia su tre gambe
Il tema della sostenibilità non si esaurisce con le misure ambientali e gli incentivi e investimenti economici. Infatti, come è stato evidenziato durante la tavola rotonda da Federica Viganò, docente di sociologia dei processi economici e del lavoro: «La sostenibilità è un concetto che poggia su tre gambe. È ambientale, economica e sociale allo stesso tempo. È quindi importante adottare un approccio olistico. Un’azienda che vuole migliorare sotto l’aspetto della sostenibilità deve intraprendere anche delle azioni nei confronti dei propri lavoratori e dei consumatori. Pensiamo, ad esempio, a misure che migliorino le condizioni di lavoro dei dipendenti o, ancora, attività di comunicazione finalizzate a informare del proprio operato il pubblico, di modo che chi acquista possa esercitare delle scelte consapevoli.»
L’aspetto sociale è stato messo in rilievo anche nell’Agenda 2030 del Consorzio vini Alto Adige – come ha ricordato Kofler: «Fra le attività da svolgere abbiamo espressamente indicato l’informazione e la sensibilizzazione dei viticoltori e la promozione di un dialogo attivo con i consumatori. La sostenibilità, infatti, non è un processo che può solo essere imposto dall’alto.» «Se è più noto o più facile pensare di misurare la sostenibilità da un punto di vista ambientale ed economico, ad esempio attraverso parametri chimici o analisi dei costi, mi preme sottolineare – ha continuato Viganò – che anche il suo impatto sociale può e deve essere misurato attraverso specifici indici.»
La sostenibilità è sostenibile?
Quello verso la sostenibilità è sicuramente un percorso economicamente impegnativo e costoso e questo può scoraggiare le piccole aziende e i consumatori. Durante la tavola rotonda, però, è stato sottolineato da Liberatori come: «La tecnologia, che è ormai indispensabile per questo processo, non è un lusso esclusivo delle grandi aziende. Anche le piccole imprese possono beneficiarne avendo bene in mente che oggi, e sempre di più nel futuro, non si potrà fare una buona agricoltura senza una buona conoscenza.» Da questo punto di vista, ad esempio, un aspetto importante legato all’utilizzo di macchine in agricoltura è l’ottimizzazione di quelle che già si hanno in azienda: «Può sembrare banale, ma anche una corretta messa a punto di una irroratrice può fare una grande differenza. Infatti – ha continuato Liberatori – applicare piccoli accorgimenti e regolari manutenzioni consente di ridurre fenomeni come la deriva nei trattamenti. In questo occorre porre molta attenzione alle macchine operatrici, che sono quelle che si interfacciano con la cultura e determinano la qualità delle produzioni. Non è più sufficiente avere un trattore all’avanguardia e poi una operatrice obsoleta.»
«Passare dal paradigma dell’insostenibile a quello del sostenibile comporta sicuramente un costo, non solo per le aziende ma anche per i consumatori. – Ha evidenziato Viganò. – Pensiamo a un prodotto biologico o ai prodotti del commercio equo e solidale. In questi casi c’è sempre una differenza di prezzo, che è motivata dal ricorso a un certo tipo di pratiche e di accuratezze e, nel caso del fair trade, da una particolare attenzione alla filiera. Si tratta di una differenza che il consumatore è disposto a pagare perché decide di sposare i valori aziendali. Non dobbiamo dimenticarci che quello verso la sostenibilità è un processo graduale non solo per chi produce, ma anche per chi compra. Un processo nel quale rivestono un’importanza centrale anche la comunicazione e il ricorso a certificazioni rilasciate da enti accreditati.»