Profondo Rosso! La crisi di una tipologia, verità o fuffa?

Per iniziare una riflessione sull’attuale situazione di mercato del vino comincerei citando le parole di un articolo apparso su Winenews il 4 aprile 2023:

L’analisi qualitativa sulle esportazioni dei rossi italiani che emerge a “Vinitaly 2023” vede infatti le categorie premium (da 6 a 9 euro/litro in cantina) e superpremium (oltre i 9 euro) conquistare quote di mercato molto importanti negli ultimi 12 anni. Per esempio, stante il calo generale dei volumi di rosso esportati, nel 2010 i prodotti sotto i 6 euro rappresentavano a valore i due terzi del mercato; oggi l’inversione di tendenza, con gli over 6 euro al 60% delle vendite. In poco più di 10 anni la crescita del segmento di fascia alta, che vale ora 1,9 miliardi di euro di export, è stata del 200%.

200% è un risultato incredibile. Quando si parla di miracolo economico italiano, ecco le percentuali di crescita sono più basse. Il Vino ha vissuto un decennio che qualsiasi altro settore economico italiano se lo sarebbe sognato.

Questo ritengo sia il prologo esatto da cui partire.

Ora a che punto siamo? L’altro giorno, durante un pranzo di lavoro, mi è stato chiesto cosa ne pensassi della crisi del vino rosso italiano. Un argomento partito sotto traccia negli ultimi 3 o 4 anni, quando le esportazioni crescevano sempre a doppia cifra ma se poi le andavi a scomporre si vedeva che questa propulsione era molto figlia delle bollicine e in particolare del Prosecco, mentre i vini rossi erano un po’ fermi al palo.

Adesso, secondo i dati, la locomotiva delle bolle si è sgonfiata e quasi per incanto ci si è accorti che il comparto rossista italiano non è così florido. In generale, secondo UIV (citando un articolo recente apparso su Il Sole 24 Ore) tutti i top 12 mercati terzi presi in esame segnano quantità in calo a partire, oltre che dagli Stati Uniti, da sbocchi chiave come Regno Unito (-3%), Svizzera (-10%), Canada (-20%), Giappone (-16%), Norvegia (-13%), ma anche da piazze emergenti come Cina (-27%) Sud Corea (-40%), Australia (-20%) e Brasile (-4%).

Il malato terminale pare essere il vino rosso. Io non ne sono del tutto convinto e inviterei i produttori che credono nella qualità ad agire di conseguenza. Ovvero non mettersi a spiantare tutto quello che hanno solo perché “pare” che il mondo non voglia più questa tipologia. Intanto perché in viticoltura non è mai bene seguire le mode se si coltiva la terra. Se si è commercianti è un altro paio di maniche, si acquista lo sfuso e il gioco è fatto.

Ma se si pianta una vigna i tempi sono ben differenti e quindi ci vuole una visione.

 

Il rosso vive alcuni problemi di fondo che andrei a elencare:

  1. la comunicazione è stata improntata al fatto che trattasi di vini corposi, su alcune contro etichette si legge ancora la solfa di abbinare questi prodotti a stambecchi, cervi, pernici, fagiani e compagnia danzante. Cibi che neppure i Windsor mangiano più. Una comunicazione di questo tipo condanna all’estinzione.
  2. Altra informazione che è abbondantemente passata ai consumatori è che molte di queste bottiglie te le devi dimenticare in cantina e aprirle a distanza di anni. Come mi ha detto un produttore l’altro giorno, te lo vedi uno che va a comprare un paio di scarpe e il negoziante gli dice: «sono fantastiche ma prima di usurarle riponile nel mobile e attendi quei 4 o 5 anni che si ammorbidisca la tomaia…»
  3. Il cambiamento climatico sul rosso temo abbia un impatto più profondo perché i bianchi e le bolle sono “più tecnologici” e  in cantina qualche “magheggio” (acidità aggiunta, tanto per citarne uno) si può fare. La maturazione delle uve a bacca rossa obbliga all’attesa per raggiungere il bilanciamento tra alcol e tannino e, con il riscaldamento globale ed eventi climatici estremi, gli schemi sono saltati cosa che mette in seria crisi i viticoltori.

 

Detto questo, però, il rosso tra i veri appassionati, quelli disposti a spendere e a investire veramente, è ancora la tipologia preferita e alcuni paesi, che si pensa possano in futuro allargare molto il mercato (vedi Cina e Asia in generale), consumano prevalentemente solo bicchieri di rosso.

Quindi vorrei consigliare calma e gesso e più professionalità nella comunicazione del prodotto, anzi proporrei una profonda inversione di rotta nel raccontare vini e territori al consumatore e al professionista che poi andrà a commercializzare le bottiglie. Manca, inoltre, un sano piano di investimenti nel promuovere quella fascia di mercato di vini (compresa tra i 10 euro e i 30 sullo scaffale) che come ha scritto Tiziano Gaia, il mio caro amico ed ex collega, su la Repubblica, la “classe media delle etichette italiane salverà il mercato”. Il vino sfuso è defunto (almeno nel commercio di bassa qualità), la GDO quando paga sotto i 4 euro fa solo un danno alla viticoltura e all’agricoltura del nostro paese, si deve puntare su una giusta remunerazione del prodotto aiutando i vigneron e le cooperative che producono vini seri, figli di un agricoltura di qualità e frutto di solidi investimenti in cantina.

Infine, non piangiamoci su, che il 200% di crescita fa ridere solo a scriverlo… Ricordiamoci da dove siamo partiti e dove siamo ora. Poi come diceva Trilussa è anche vero che uno si mangia 3 polli e un altro solo mezzo, ma 30 anni fa manco un sorcio passava il convento…