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Due chiacchiere con Cinzia Scaffidi

Cinzia ScaffidiSpesso utilizziamo le parole, senza soffermarci a pensare alle origini, sul perché le utilizziamo e come negli anni abbiano cambiato di significato. Soprattutto in un tempo in cui tutto scorre veloce. Il libro di Cinzia Scaffidi Mangia come parli. Com’è cambiato il vocabolario del cibo può aiutarci a riflettere, per dare maggiormente peso ai termini che tutti i giorni utilizziamo e impiegarli con maggior consapevolezza.
L’Autrice, vicepresidentessa di Slow Food Italia, è riuscita durante la presentazione del libro a far viaggiare i presenti tra le parole del gusto. Dire ad esempio “è un prodotto presente in tutti i supermercati”, fino a qualche anno fa era sinonimo di essere un articolo famoso e diffuso; oggi quando sentiamo che un “prodotto è da supermercato”, il nostro livello di attenzione si alza e ci sorge il dubbio che la qualità sia medio bassa e molto standardizzata.

Ogni parola, anche quella più ovvia, può rappresentare una matassa non così semplice da sbrogliare. Pensiamo a “etichetta”, sul qualsiasi vocabolario la definizione recita sempre pressappoco: “cartellino che si applica su oggetti vari per indicarne il contenuto, la provenienza, il prezzo o altre caratteristiche”, ma nella realtà è sempre così? Riusciamo dall’etichetta noi consumatori a capire che cosa stiamo per acquistare, a come viene realizzato e dove viene? Il formaggio è fatto col latte e fin qua possiamo essere d’accordo. Ma siamo sicuri che questa informazione possa bastarci?

«Dovremmo sapere come sono stati trattati gli animali che hanno prodotto il latte, cosa hanno mangiato, di quale razza sono, se è una razza del luogo in cui sono stati allevati o no, e dove sta questo luogo– sottolinea Cinzia Scaffidi- insomma da dove viene il latte di quel formaggio, quali trattamenti ha subito, chi sono le persone che si sono incaricate della trasforma­zione del latte in formaggio, quale tipo di relazione hanno con quel lavoro e via di questo passo».

Le marche industriali sembrano producano i cibi come nostra nonna; con un’immagine o uno spot riescono o, almeno provano, a vendere un’emozione, un gusto o un ricordo. L’immaginazione così si fonde e confonde la realtà. Ma si tratta solo di pubblicità e marketing. Ecco perché “Mangia come parli” dovrebbe essere letto ai bambini, per avere un domani adulti consapevoli, più di quello che siamo noi oggi.

 

Federica Traversa