Contadino per lavoro, per passione, per filosofia e anche per legge
La sua voce calma mette tranquillità mentre racconta il suo peregrinare di cascina in cascina che lo ha portato, con la sua famiglia, dal torinese in Valle Stura di Demonte, dove coltiva erbe aromatiche e prodotti orticoli. Lui è Roberto Schellino, perito agrario e contadino, membro dell’Associazione Rurale Italiana (Ari) e del Coordinamento nazionale della Campagna Popolare per l’Agricoltura Contadina. Una Campagna che va avanti dal 2009 e chiede il riconoscimento della figura di contadino.
Sì avete letto bene: in Italia (e in Europa) la figura del contadino giuridicamente non esiste. Si parla solo di imprenditore agricolo, equiparando tutte le persone titolari di un’attività agricola senza distinzione di estensioni coltivate o di proprietà, reddito, colture: «Oggi “contadino” è un termine culturale che ognuno può utilizzare come vuole». Se sino a qualche decennio fa questa parola era quasi usata con imbarazzo, oggi invece è abusata e il marketing se ne è appropriato.
La Dichiarazione Onu
Mentre la realtà è molto più complessa: «Per fortuna, in seguito all’approvazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel dicembre 2018, della Dichiarazione per i diritti dei contadini e dei lavoratori in contesto rurale c’è una definizione oggettiva di contadino alla quale si dovrebbe fare riferimento. Definizione che vale per tutte le Nazioni che aderiscono all’Onu, compresa l’Italia. Il problema è che nessuna normativa fa riferimento a questo insieme di soggetti – cioè coloro che abitano la terra, la lavorano e da essa traggono, tutto o in parte, quanto necessario per vivere – comprendendo quindi sia il coltivatore diretto che i coltivatori per consumo famigliare. Questa definizione sintetizza lo spirito della Campagna che ha voluto mettere insieme esperienze diverse in rapporto alla terra».
Nell’articolo 1 della dichiarazione dell’Onu si legge «si definisce come contadino una persona qualsiasi che esercita, o mira a esercitare da solo o in associazione con altri o come comunità, attività di piccola produzione agricola, di sussistenza e/o per il mercato, e che si affida significativamente, per quanto non necessariamente in modo esclusivo, al lavoro familiare e ad altri modi non monetizzati di organizzare il lavoro, e che dipende in maniera particolare dalla terra ed è attaccata ad essa».
La Dichiarazione, inoltre, mette in evidenza il diritto alla terra, alle sementi e alla biodiversità, oltre a diversi “diritti collettivi” legati alla sovranità alimentare.
La Campagna popolare per l’agricoltura Contadina
Nonostante questo riferimento universale, esiste ancora una barriera culturale e ideologica da superare, anche tra le associazioni di categoria tradizionali e nelle istituzioni, come dimostra il lungo percorso che la caratterizza. «E poi non siamo strutturati: la Campagna Contadina è portata avanti dal volontariato. Poco alla volta la base che si riconosceva in questa proposta è cresciuta: a un primo gruppo di piccole realtà del mondo contadino e neo-rurale, via via si sono aggiunte diverse associazioni. Non è mai entrata nelle attenzioni delle organizzazioni professionali agricole perché introduce elementi distintivi che in generale sono visti come un ostacolo» ammette con un filo di dispiacere Schellino.
Contadini anche per legge, ma quando?
Seppur lentamente, la Campagna popolare è cresciuta integrando la proposta originale: «In questa legislatura alcuni parlamentari hanno presentato tre proposte di legge, finalmente discusse nella Commissione agricoltura della Camera, dove c’era una maggioranza favorevole: eravamo a un passo dalla votazione di un testo unificato. La crisi di Governo ha fermato tutto, ma speriamo che il percorso sia solo interrotto e non abbandonato. Non è una proposta che trova compatte tutte le forze politiche e quindi i mutati scenari mettono un po’ d’ansia».
I numeri
È una legge necessaria perché in Italia potrebbe normare la maggior parte delle aziende agricole: si tratta di 1milione e 500mila soggetti nel nostro Paese mentre nel mondo i piccoli produttori rappresentano, in media, il 70% della produzione agricola; percentuale che aumenta a oltre l’80% nei Paesi in via di sviluppo.
«Questo riconoscimento è importante perché si tratta di una dimensione che esiste ma è nascosta dentro il contesto unico dell’agricoltura d’impresa. Le norme attuali non fanno specifiche differenze, sono standardizzate e vengono imposte a tutti i contadini: io, con i miei 5 ettari in montagna, non posso esser equiparato, ad esempio, all’Impresa agricola Bonifiche Ferrarresi, una Spa quotata in Borsa con 7750 ettari, eppure oggi per la legge siamo entrambi imprenditori agricoli. Questo da un punto di vista sociale, culturale ed economico non può continuare ad esistere» sottolinea Schellino.
I due pilastri della Campagna popolare
«Il punto è quindi che, con l’attuale legislazione, si tengono sotto uno stesso cappello realtà troppo diverse, unite solo dal fatto che producono cibo, nonostante finalità e problematiche siano completamente differenti. Nel campo dei manufatti, ad esempio, dal punto di vista giuridico, c’è la realtà industriale e quella artigianale: entrambe possono lavorare allo stesso prodotto, ma sono disciplinate in modo diverso. In agricoltura questo non succede».
Dare dignità alla dimensione contadina è un percorso culturale e politico lungo. «Questa prima legge è importante ma siamo consapevoli che non risolverà tutto: la legge deve poi essere applicata, e a cascata potrà generare altre norme. Comunque essa evolva, noi sin dall’inizio abbiamo appoggiato, dal punto di vista legislativo, il nostro operare su due pilastri. Il primo punto riguarda il riconoscimento, che si concretizza con l’esistenza di un albo specifico delle aziende contadine dove possono liberamente iscriversi tutti quelli che si riconoscono in questo modello lavorativo, in modo da garantire massima trasparenza. Una volta individuate queste realtà, e qui si passa al secondo pilastro, la legge deve riconoscere loro specifiche norme che meglio riflettano le loro esigenze. In altre parole occorre mettere in atto provvedimenti per sostenere e valorizzare questo modello agricolo. Noi leghiamo la piccola dimensione alle forme di agricoltura sostenibile e alla dignità del lavoro. Si aggiungono anche altri criteri, come quelli riguardanti la commercializzazione e la trasformazione in proprio dei prodotti» conclude Schellino.
Proprio in questi giorni è partita una lettera aperta a tutti i contadini d’Italia e agli organi di stampa perché si conosca questa situazione. Stiamo parlando di un’agricoltura importante che consente sia la sovranità alimentare delle comunità rurali sia la resilienza dei sistemi alimentari di fronte, ad esempio, alla crisi climatica. È essenziale per il ripopolamento di zone marginali, per la riconversione dei territori ad agricoltura intensiva e per la salvaguardia dell’ambiente.
Intervista di Valter Musso
v.musso@slowfood.it
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