Grande scalpore, almeno per chi guarda e beve il vino a 360°, sulla certificazione francese dedicata al “vino naturale”, promossa in Francia dal Ministero dell’agricoltura, dall’Ufficio frodi e presa in esame dall’Institute for Origins and Quality (INAO). Un’espressione che manca ancora di stringenza concettuale, un termine assai modaiolo, che suscita sopracciglia aggrottate e arie di sufficienza, ma anche smuove da molti anni la percezione del vino di migliaia di persone.
Il Syndicat de Défense des Vins Nature (203 membri al 17.02.2020) è riuscito a vedersi riconosciuta ufficialmente dal governo francese la certificazione “Vin méthode nature” (pubblicata il 29.01, leggete qui). Il motivo scatenante dell’iniziativa è stato l’uso di uve non biologiche, ricche di chimica di sintesi, da parte di produttori francesi di “vino naturale”, di “fake natural wine”.
Questa certificazione è stata appoggiata da organismi nazionali francesi, non europei. Al momento la certificazione è disponibile solo per i produttori francesi; a breve lo sarà anche per quelli italiani e spagnoli.
Il presidente del sindacato è il vignaiolo francese Jacques Carroget (Domaine de la Paonnerie) e portavoce del sindacato che ha partecipato alla discussione organizzata da Stefan Robert (Meininger’s Wine Business International) sul suo nuovissimo canale The Wine Business su You Tube, che ha coinvolto diversi professionisti del vino, tra cui Alice Feiring, Eric Asimov, Isabelle Legeron, Ray Isle. Considerata l’attualità del tema, un articolo corale che racconti le principali posizioni a riguardo credo sia di pubblica utilità.
L’interessante discussione ha trattato innanzitutto 4 punti. Il principale, la definizione e la codifica tramite un regolamento per il “vino naturale”, è stato il fil rouge che ha attraversato l’ora e mezzo di interventi. Si sono toccati diversi punti nevralgici, tra cui:
- Il “vino naturale” deve essere definito legalmente?
- Solfiti sì o no?
- Una denominazione è garanzia di tipicità di un vino?
- Vino naturale industriale? Le grandi cantine industriali che si mettono a produrre “vino naturale”
Un breve riepilogo sulle certificazioni del vino
La certificazione del vino (o di un altro prodotto alimentare) ha la funzione di garantire al consumatore che l’alimento sia stato prodotto seguendo certe regole, fissate in un disciplinare o regolamento. La sua funzione dovrebbe essere anzitutto la garanzia di trasparenza per il consumatore. Una certificazione può essere decisa dall’EU e recepita dai singoli stati, oppure decisa da un singolo stato o infine da un organismo privato. La certificazione europea ha, a livello commerciale e per il consumatore, un valore più alto di autorevolezza e riconoscimento.
Da anni si discute sull’opportunità di una certificazione del “vino naturale”. Ci sono i produttori “spiriti liberi” che non vogliono lasciarsi inquadrare e sentirsi dire come fare il proprio vino da un regolamento, e chi invece pensa che oggi abbia un senso regolamentare la produzione di un “vino naturale”.
Alle certificazioni biologica (l’unica certificazione riconosciuta a livello europeo) e biodinamica si aggiunge quella francese del Vin méthode nature.
In Italia ci sono regole per il “vino naturale” di associazioni come Vinnatur o Vini Veri, che dettano dei criteri ai vignaioli che vogliano farne parte e che, a mio avviso, sono più che altro indicatori della frammentazione dei produttori e del mercato italiano del “vino naturale” che, invece di unirsi, si dividono in troppe fiere e associazioni.
Da non tacere riguardo al tema certificazioni in materia di vino è la burocrazia e soprattutto i costi, che, per una cantina medio-piccola, sono un peso non trascurabile. La certificazione biologica, biodinamica o del Vin méthode nature sono tutte certificazioni volontarie, che una cantina può decidere di non avere, seppur seguendo coerentemente le regole dell’una o dell’altra. L’impatto di una certificazione sulla percezione del prodotto da parte del consumatore e sul mercato di riferimento rimane un punto critico, almeno per le cantine delle dimensione suddette.
“Vin méthode nature” e il mercato del vino
Aiuterà questa certificazione il mercato del “vino naturale”? Presto per dirlo, anche perché il mondo del vino stenta ancora a riconoscere uno status rilevante a questo mercato di nicchia.
Nel master che ho frequentato nel 2019 sul vino italiano e mercati internazionali, il tema “vino naturale” e mercato del “vino naturale” non è stato oggetto di analisi da parte di docenti di marketing e sommelier.
Eppure il “vino naturale” è un trend significativo tra i consumatori di vino, legato alla percezione contemporanea del biologico alimentare: ci sono i suoi influencer, migliaia di bottiglie e bicchieri fotografati nonché polemiche e panegirici sui social media. È un mercato da prendere in considerazione, che sta smuovendo da anni il mercato del vino dei grandi numeri e, cosa ancora più importante, le posizioni agronomiche ed enologiche di chi fa e di chi valuta i vini.
Per il mondo del vino, la comunicazione e il marketing, soprattutto digitali, fatti da professionisti (non dal cugino) sono diventati di primaria importanza, specialmente da Marzo 2020 in poi, come puntualizza anche Rebecca Hopkins (Folio Fine Wines) al termine della discussione su You Tube.
Le posizioni sul “vin méthode nature”
Domanda n. 1: Il “vino naturale” deve essere definito legalmente?
Ci deve essere un regolamento da seguire affinché un vino sia definito “naturale”, come già esiste per il vino biologico e biodinamico? Questa è il tema principale affrontato in questa discussione su The Wine Business.
C’è un consenso misto a scetticismo sulla necessità della certificazione francese. Fino a qualche anno fa non c’era necessità di una legislazione per il “vino naturale” – dice A. Feiring – fino a quando il “vino naturale” non è diventato “degno d’imitazione”. Il punto di partenza della certificazione francese è stato di fare capire ai consumatori che vanno al supermercato cosa stanno acquistando e quindi garantire la massima trasparenza. La charte del Vin méthode nature è un passo verso una legislazione del “vino naturale”. Autodefinendosi anarchica, ad Alice non sembra piacere una legislazione e tuttavia bisogna stare a vedere cosa accadrà nel prossimo futuro.
Una posizione simile ha Isabelle Legeron (RAW wine), per cui c’è bisogno di una definizione di “vino naturale”. Eppure non possiamo ignorare le sfide che una definizione ci pone. Simon J. Woolf (autore dell’ottimo libro sugli orange wines, “Amber Revolution”) crede che un qualche tipo di regolamento ci debba essere e che la certificazione francese sia un punto di partenza.
Per il giornalista del New York Times Eric Asimov invece c’è bisogno di regole per il “vino naturale”. Lo scetticismo latente in questa discussione e i problemi che essa pone mostrano che non sia possibile arrivare a una definizione generale che abbia pubblicamente senso. Il motivo? “Finché il termine “vino naturale” è usato come un’idea di vino, come connotazione di un vino, esso ha un potere molto superiore a un metodo di produzione rigidamente definito.”
Domanda n. 2: Solfiti sì o no? Quanti e quando?
Uno dei punti più discussi è stato (come non sorprendersi) il punto 7, in cui il sindacato fissa a un max 30 mg/l la quantità totale di solfiti che è permesso aggiungere prima della fermentazione in qualsiasi tipologia di vino, e che va dichiarata in etichetta.
Per Jacques Carroget e altri partecipanti un vino può contenere in certa misura dei solfiti, ma aggiunti solo in fermentazione.
La discussione, in cui sono intervenute soprattutto Alice Feiring e Isabelle Legeron, lascia aperte molte domande, a cui una semplice regola (del sindacato così come di altri regolamenti) non sembra poter rispondere.
Ad esempio: la quantità totale di solfiti nel vino imbottigliato a cosa è dovuta? A solfiti aggiunti? Se sì, in quale fase della fermentazione (prima o dopo la fermentazione malolattica)? I solfiti potrebbero derivare dalle uve stesse (dai trattamenti in vigna), anche se il vignaiolo non ha aggiunto solfiti in fermentazione. È difficile verificare quando siano stati aggiunti i solfiti, se erano già presenti sull’uva o se sono stati aggiunti in fermentazione.
Non basta un’autocertificazione, ma la veridicità deve essere stabilita da laboratori indipendenti, come avviene per la certificazione francese o per Vinnatur.
Domanda n. 3: Una denominazione (si parla di quelle francesi) è garanzia di tipicità di un vino?
La posizione decisa di A. Feiring contro le commissioni di degustazione, che decidono se un vino possa entrare o no in una denominazione, è conosciuta. I tasting panel possono avere tanti identificatori gusto-olfattivi (la scheda AIS ne ha 116 N.d.A.), che non sono tuttavia sufficienti per definire la tipicità di un vino. Se esso è prodotto seguendo pratiche agricole corrette, seguendo la propria filosofia e producendo così “un vino onesto”, non c’è motivo per cui questo vino non debba entrare in una denominazione. Anche perché, si precisa, originariamente una denominazione garantiva l’origine territoriale del vino, non il suo stile.
Ray Isle (foodandwine.com) si muove sullo stesso filo, dicendo che la tipicità di un vino ormai è molto spesso costruita, non autentica in un vino commerciale e industriale. Un tale vino può passare il test di un panel di assaggio di una denominazione, ma non essere davvero un rappresentante della tipicità di quel territorio.
Da una parte il “vino naturale” si sottrae a una definizione, dall’altra sembra averne bisogno, allorché si può iniziare a produrne anche milioni di bottiglie (come accade già per il vino biodinamico, ad esempio in California).
Domanda n. 4: Vino naturale industriale
Come la mettiamo con un “vino naturale”, prodotto in decine di migliaia di bottiglie? Si può continuare a parlare di “vino naturale”?
Jacques Carroget risponde a questo quesito affermando che regole della charte come la raccolta manuale, la non-filtrazione eliminano già una buona parte delle grandi cantine, che non le seguirebbero su ampia scala. Non era una priorità del sindacato quella di definire la grandezza della cantina.
Poi ci sono le grandi cantine che producono poche bottiglie di “vino naturale”, dice A. Feiring. A questo proposito, se un’enorme cantina come Gallo (azienda statunitense N.d.A.) si mettesse a fare “vino naturale”, ci si chiede se un tale vino potrebbe essere considerato didattico per chi si avvicinasse al mondo dei vini naturali. Eric Asimov dice chiaramente di no: primo perché un tale vino sarebbe standardizzato, secondo perché non crede nei cosiddetti “vini didattici” (“introductory wines”). L’unico lato positivo è che sarebbe che un bene per il pianeta!
Chi acquista vino al supermercato ha il diritto di bere il “vino naturale” da supermercato, anche se non sarebbe il “vino naturale” che A. Feiring berrebbe. Una risposta acuta, tra il polemico e il democratico.
Domanda n. 5: I difetti nel “vino naturale” (volatile, topo, brett)
Altro argomento molto discusso è quello dei “vini puzzoni” o vini con difetti. Anzitutto sarebbe il caso di chiedersi: come definiamo un difetto nel vino?
Se per A. Feiring (notare il suo sfondo su Zoom) questi difetti sono parte integrante dell’esperienza individuale del “vino naturale”, Eric Asimov aggiunge che anche molti vini convenzionali (“mainstream wines”) abbiano difetti che noi però non riconosciamo come tali, ad esempio la mancanza di emozione, di originalità o di purezza. Ogni tipo di vino ha i suoi difetti, dipende dalla prospettiva, dalla filosofia con cui ci approcciamo al vino. Alla fine si sta parlando di cosa si intende per “difetto”, conclude Robert. In fondo, aggiungo io, l’educazione ai gusti del vino sta alla base della degustazione.
In summa ho esposto i quesiti e le posizioni principali emerse da questa discussione, da cui sembra emergere non solo l’importanza dei “vini naturali” per i palati dei professionisti e degli amatori, ma soprattutto la necessità di una prospettiva aperta per chi lavora nel mondo del vino, dai degustatori e sommelier, ai produttori, agli enologi e agronomi fino ai commerciali.
Approfondimenti:
- Regolamento Demeter al 2019.
- “Sustainable wine in Europe”, 2016.
- Simon J. Woolf, “Does natural wine need official regulation?”, The Morning Claret Aprile 2020.
- E. Asimov, “France Defines Natural Wine, but Is That Enough?”, The New Yor Times, Aprile 2020.
- J. Robinsons, “Natural wine defined”, Aprile 2020.
- “La dénomination “Vin méthode nature” est née”, Terre de Vins Marzo 2020.
f.fantoni@slowfood.it / theblackfig.com