STORIA
Il ritrovamento del più antico aratro costruito dall’uomo – databile cinquemila anni prima di Cristo – testimonia che sulle colline moreniche attorno al lago di Garda si coltiva la vite “da sempre”: non si è a conoscenza né di chi l’abbia introdotta in questo territorio, né precisamente quando, ma alcune testimonianze storiche confermano che già nel primo secolo d.C. il vino prodotto nei dintorni del lago Benàco – questo il toponimo classico di matrice latina, poi abbandonato per adottare il termine di origine germanica Garda, da warda, ovvero luogo di guardia o luogo di osservazione – era ben noto e si poteva facilmente trovare nei banchetti degli antichi romani con il nome di Retico, come confermano gli scritti di Svetonio e di Plinio.
Nei secoli successivi, e fino in epoca moderna, la viticoltura rimase una pratica ampiamente diffusa, che non conobbe mai momenti di crisi o di abbandono, anche se non sempre era in grado di raggiungere livelli produttivi rilevanti: solamente nella seconda meta dell’Ottocento la comparsa virale di alcune malattie della vite, come l’oidio prima e la peronospora poi, provarono a minare questa tradizione secolare ma l’unico risultato che ottennero fu un maggiore impegno e l’adozione di nuove e più efficaci tecniche colturali da parte dei viticoltori. È soprattutto a partire dal secondo dopoguerra che la produzione vinicola gardesana imbocca in maniera significativa e duratura la strada della qualità diffusa; in particolare la svolta decisiva per l’enologia del Garda occidentale avvenne nel 1959, a seguito del primo Convegno sui vini bresciani organizzato nell’ambito dell’Esposizione Industriale Bresciana.
Da quella data in poi si comincia a parlare con sempre maggiore rispetto dei vini della “Riviera”, intendendo con questo termine il territorio e l’entroterra della costa lombarda del lago, conosciuto con il nome esteso di Riviera del Garda Classico. Il nome Chiaretto, che identifica il vino rosa prodotto in questo territorio, compare già agli inizi del Novecento, come testimoniano i cataloghi di alcuni tra i più importanti Concorsi Vinicoli dell’epoca. L’attuale termine Valtènesi identifica invece l’area più centrale e prevalentemente collinare della Riviera, dove tradizionalmente viene coltivata la varietà più tipica di queste campagne, il groppello, patrimonio esclusivo della sponda occidentale del lago.
Attualmente Il Consorzio Valtènesi associa circa un centinaio di viticoltori, di cui due terzi sono imbottigliatori presenti sul mercato con proprio marchio mentre un terzo è rappresentato da semplici produttori di uva. Complessivamente si prendono cura di una superficie vitata che raggiunge i 1.000 ettari: ogni anno alla produzione del Chiaretto vengono destinati circa 25.000 quintali di uva, che una volta vinificati corrispondono a circa 2 milioni di bottiglie: un numero in costante crescita negli ultimi anni.
TERRITORIO
L’area di produzione della Denominazione si estende dai confini con il Veneto fino a Salò, investendo integralmente o parzialmente il territorio di 16 comuni della riviera bresciana del lago di Garda e del suo entroterra. Una vasta area che ha conosciuto ben quattro fasi glaciali principali, ed altre secondarie, che si sono susseguite a partire da circa un milione di anni fa: ciascuna ha contribuito ad accumulare strati successivi e concentrici di diverse rocce provenienti da nord, andando così nel tempo a formare l’attuale assetto geologico. Le loro differenti origini e le loro variegate composizioni permettono ai suoli della Valtènesi di essere fortemente caratterizzanti, grazie alla ricchezza di sali minerali di diversa composizione. Le rocce, prevalentemente sedimentarie, hanno costruito nei millenni la copertura esterna, dalla fascia formatasi in origine, in manti più o meno profondi depositatisi nel Mezosoico e nel Cenozoico sui fondi marini.
Il clima della zona è decisamente mediterraneo, pur essendo sostanzialmente ai piedi delle Alpi: sulla riviera crescono olivi, limoni, cedri, capperi e numerose altre piante e vegetazione tipicamente mediterranee. Tutto il territorio è caratterizzato da una continua e costante ventilazione – il Garda è infatti un lago molto frequentato dagli amanti della vela e del windsurf – che garantisce in maniera mirabile la sanità delle uve.
UVE
I vini della Doc Valtènesi – sia nella tipologia Chiaretto che Rosso – devono essere ottenuti per almeno il 50% da uve groppello, dei due biotipi “gentile” e “di Mocasina”. Per la restante parte possono concorrere alla produzione del vino altri vitigni a bacca rossa – idonei alla coltivazione nella Regione Lombardia ed iscritti nel Registro Nazionale delle varietà di vite per uve da vino – fino ad un massimo del 50%. La tradizione prevede l’utilizzo principale, come varietà aggiuntive, del marzemino, del barbera, del sangiovese e del rebo. I migliori Valtènesi Chiaretto si ottengono con percentuali elevate di groppello gentile.
Il termine groppello è stato utilizzato fin dall’antichità per indicare varietà spesso assai differenti fra loro, ma che presentavano la caratteristica comune di un grappolo compatto con acini serrati, simile pertanto a un “groppo”, che nei vari dialetti della pianura padana significa “nodo”. Tra gli autori latini che nelle loro opere hanno citato questo vitigno troviamo i più importanti nomi della letteratura classica: Catone, Virgilio, Plinio e in seguito Cassiodoro. Il groppello fu chiamato pignolo nel 1299 da Pier De Crescenzi, esule ghibellino e alto funzionario bresciano: era il vitigno più tipico della zona del Garda, coltivato esclusivamente in Valtenesi, con l’eccezione di una piccolissima nicchia di produzione in val di Non, in provincia di Trento.
Molte notizie sul vitigno ci giungono da Gallo (1550) e da Bacci (1596), che paragonano i groppelli alle pignole, uve coltivate nella provincia bresciana dalla Franciacorta al lago di Iseo. In particolare il Gallo descrive dettagliatamente il groppello, sostenendo che si tratta di un’unica famiglia a cui si è usi modificare il nome a seconda della zona di coltivazione: sul lago di Garda, ad esempio, prende il nome di groppello di Mocasina. Un altro biotipo di groppello, quello denominato di Santo Stefano, pare assodato che corrisponda in tutto e per tutto a quello di Mocasina, mentre per quanto riguarda la tipologia più diffusa, il cosidetto groppello gentile, le principali differenze rispetto agli altri componenti della famiglia sono da ricercarsi nella forma dell’apice e nel grappolo sempre alato. Il groppello di Revò invece, coltivato sulle colline della cittadina omonima situata in Trentino, è considerato da alcuni studiosi il genitore delle varietà diffuse nel Bresciano, sostenendo in tal modo un’origine trentina del vitigno.
In passato il groppello era diffusamente presente in Veneto (in particolare nelle province di Vicenza, Verona e Treviso), in Trentino (val di Non) e in Lombardia (Brescia e Bergamo); in seguito è stato sostituito da vitigni considerati di maggiore qualità, soprattutto in epoca post fillossera: pertanto oggi il groppello è diffuso quasi esclusivamente sulla sponda bresciana del lago di Garda.
Il grappolo del groppello gentile è di medie dimensioni, mentre in genere è più piccolo quello del groppello di Mocasina e di Santo Stefano: tutti hanno comunque una forma cilindrica o cilindrico-conica, molto compatta, raramente provvista di una piccola ala. L’acino ha dimensioni medie, è sferico e in parte appiattito per la compressione del grappolo. La buccia è molto sottile, di media consistenza, pruinosa e di colore blu violetto. L’uva giunge a maturazione in genere nelle prime settimane di settembre.
VINIFICAZIONI E TIPOLOGIE
In Valtènesi il Chiaretto si ottiene mediante la pigiatura soffice delle uve a cui fa seguito un breve e delicato contatto del mosto con le bucce, che in genere dura poche ore: è pertanto un classico “vino di una notte”, intendendo con ciò che i tempi di macerazione non superano mai le 12 ore, ma anzi sono di gran lunga minori.
È quasi sempre un vino dal colore rosa tenue, una tinta che viene detta anche “petalo di rosa”, perché raramente il groppello, che è una varietà piuttosto povera di antociani, riesce a imprimere delle colorazioni più decise al mosto. Il vitigno invece – se coltivato con le giuste attenzioni e con la determinazione precisa di produrre uve per il Chiaretto, scegliendo con cura il momento di giusta maturazione e di raccolta – ha la predisposizione ad esprimere spiccati profumi floreali (anche qui ritorna il petalo di rosa), fruttati – si evidenziano in particolare i sentori di fragolina di bosco e di lampone – ed agrumati, di arancia, mandarino e pompelmo rosa, a cui spesso si associano alcune note dolci e delicate di miele d’acacia e di spezie. Accanto ad un’acidità è sempre molto viva e croccante, che conferisce freschezza e bevibilità al vino, una delle caratteristiche gustative più tipiche del Valtènesi Chiaretto è la sua spiccata sapidità, originata sia dalla varietà groppello e sia dal suolo morenico che caratterizza questo territorio.
Una quota consistente, se non addirittura quasi totalitaria, di groppello utilizzata nel blend finale comporta ovviamente l’accentuazione di queste peculiari caratteristiche, che differenziano in maniera significativa il Valtènesi Chiaretto dagli altri vini rosa prodotti in Italia.