Il bio è finito? Soluzioni per non distruggere un sogno
Pensavamo di aver visto cose che voi umani non credevate possibili, come attacchi piuttosto gratuiti (ma sono davvero gratuiti?) verso un sistema virtuoso che ha portato l’Italia a godere di uno dei primati europei e internazionali di cui dovrebbe andare più fiera e invece era solo l’inizio. L’inizio di un incubo dovuto, a essere sinceri, a un altro tipo di attacco, non ideologico ma climatico e naturale che non ha uguali a memoria d’uomo.
Maggio e giugno 2023 entreranno di diritto nel Guinness dei primati per la loro estrema piovosità e quantità di acqua che si è abbattuta sulla nostra penisola. Si parla di un 200%, 300% in più rispetto alle medie annuali, quindi un evento eccezionale.
Di fronte a un fenomeno del genere, che ha impedito a molti vignaioli di poter entrare nei vigneti con tempestività per effettuare i trattamenti (e alcuni non sono stati tempestivi soprattutto con il primo che andava fatto preventivamente) si è sviluppato un attacco di peronospora che non ha eguali per violenza del patogeno e per distruttività dei futuri raccolti. La costa adriatica (Marche, Abruzzo, Molise e parte della Puglia), ma più in generale tutto il centro sud del nostro Paese lamenta a seconda delle zone e dei vitigni danni compresi tra il 60 e il 20 per cento di perdita secca di produzione (clicca qui per una situazione puntuale di quanto è stato registrato finora dall’UIV). Un dato che lascia senza parole.
Naturalmente si è levato subito un coro di accuse verso i produttori che hanno abbracciato la produzione biologica, rei di non difendersi con sistemi più forti per abbattere l’infezione funginea.
La lettera, pubblicata su Facebook, da Corrado Dottori di La Distesa, uno dei vignaioli più rappresentativi della produzione viticola a basso uso di chimica, che racconta la sua difficile esperienza ha poi dato il via a una serie di sberleffi tremendi nei confronti di professionisti seri e anche preparati:
La virulenza di questo attacco deve far riflettere. Dopo due anni estremamente siccitosi in cui il fungo patogeno non si era visto è come se ci sia stata una reazione esponenziale alle enormi piogge (cominciate già in aprile). Evidentemente il nostro modo di lavorare, il tipo di conduzione agronomica dei suoli, i livelli estremamente bassi di rame utilizzati, tutto ciò è incompatibile con andamenti stagionali di questo tipo. Con questo clima.Ci sono stati degli errori? Dal punto di vista di chi deve portare a casa dell’uva da vinificare certamente sì, purtroppo. Mea culpa.
Fanno riflettere allora le parole di un agronomo e consulente preparato e capace come Maurizio Gily, che sempre su Facebook risponde così allo scritto di Corrado:
Corrado è un galantuomo. Quello che posso dire è che gran parte dei vigneti italiani si trovano quest’anno nelle stesse condizioni o peggiori. Compresi tanti vigneti a cui hanno somministrato di tutto, ma di tutto davvero e a dosi massicce. Le scorte di molti fitofarmaci sono esaurite. La verità è che ci sono situazioni in cui vince il fungo, e c’è poco da fare. Errori ci sono stati, ogni anno si impara qualcosa, ma anche non facendo nessun errore si sarebbero avuti comunque danni severi. In 40 anni non ho mai visto nulla di simile. E la differenza tra biologico e convenzionale è poco rilevante, perché quando nel vigneto non ci puoi entrare non c’è differenza tra prodotti che comunque non puoi usare. E dopo un’annata come questa vari fitofarmaci molto specifici rischiano di aver perso efficacia grazie alla selezione di ceppi resistenti di peronospora. Per fortuna in Piemonte quest’anno siamo stati fortunati. Ma il centro sud è tutto più o meno massacrato, e anche qualche area del nordest. Sapete cosa prova questa annata nel dibattito biologico/convenzionale? Assolutamente nulla.
Difficile districarsi in questo momento tra le opinioni dei tecnici e dei produttori, che vivendo questa situazione drammatica pare che non riescano ancora a compiere una sintesi precisa dell’accaduto e di quanto ci attende.
Un altro spunto su cui riflettere ci è giunto grazie alle visite che effettuiamo quotidianamente d’estate per la guida Slow Wine. Il Piemonte ad esempio sta vivendo, forse più di altre regioni, il dramma della flavescenza dorata e anche qui gli occhi sono puntati sui rimedi offerti dal regime biologico. Più di un produttore “virtuoso” inizia a domandarsi come poter rispondere alla virulenza del patogeno – soprattutto su vitigni come barbera, favorita, chardonnay e pinot nero – solo con il piretro. In alcuni casi il rischio è di perdere il 10% – 20% di piante ogni anno. Un’enormità!

Insomma, in un contesto di sconvolgimenti climatici – giugno 2023 mese più caldo di sempre e il 3 luglio la giornata più torrida della storia recente (da quando sono registrate le temperature sul pianeta) – per i vignaioli che desiderano condurre il proprio vigneto abbattendo il più possibile il proprio impatto sull’ambiente la vita sta diventando molto molto complicata.
E la politica? Le istituzioni?
Silenzio su tutti i fronti. Ricerca questa sconosciuta. Ci pare che non ci siano investimenti per affrontare problematiche enormi e tutto è lasciato all’ingegno del singolo o a sperimentazioni di gruppi di produttori. Ma che senso ha questo? Lasciare una regione come il Piemonte in balia della flavescenza e con l’unica opzione possibile quella di sparare insetticidi devastanti sui vigneti?
Un settore che genera miliardi di euro di fatturato diretto e altre montagne di denaro grazie all’enoturismo meritebbe un altro tipo di trattamento quanto meno nel coinvolgimento della ricerca e nel suo finanziamento. Molto meglio un investimento di questo tipo rispetto alle spese stanziate per esuberi di produzione o a una tassazione per molti fin troppo generosa.
È ora che i Consorzi e le associazioni di categorie richiedano a gran voce un cambio di direzione, perché sperare che alcune malattie colpiscano paesi più organizzati del nostro – la battuta ricorrente è che finalmente la flavescenza sta massacrando Champagne e Borgogna – affinché sia trovata una soluzione è miope e anche un po’ umiliante per l’Italia che ha nella produzione viticola uno dei suoi asset più importanti (vedasi la crescita dei fatturati e delle esportazioni che non ha pari in nessun altro settore).
Ricerca, ricerca e ancora ricerca scientifica, e non solo in una direzione (quella che interessa alle multinazionali della chimica o della biotecnologia).
Questo articolo è apparso nel Numero #1 della nuova Newsletter Slow Wine, per chi ama il vino buono pulito e giusto.
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