Questo articolo, a firma di Carlo Petrini, è uscito sulle pagine di La Repubblica Rfood lo scorso 31 ottobre: ve lo riproponiamo qui nella sua versione integrale.
Alessandro Fedrizzi è un giovanissimo vignaiolo emiliano, che racconta con orgoglio ed estrema timidezza di essere nato nel 1993. Timidezza che scompare non appena si comincia a parlare di vino, tutto il suo mondo. La sua avventura con grappoli e vinacce inizia a 13 anni “spiando” senza sosta il vicino di casa: «Lui era un vero appassionato, comprava l’uva in cassetta, se la portava a casa e si rifugiava nella sua cantina per pigiarla nel tino e vinificarla. Io ero ammaliato da quel profumo che saliva dalle scale e stavo ore a guardarne i movimenti. Ecco che allora un giorno ho deciso di provare pure io e invece del canonico motorino per festeggiare i miei 14 anni, ho chiesto ai miei genitori di regalarmiun ettaro di vigna!».
I genitori rimasero piuttosto sbalorditi dalla richiesta e nicchiarono un po’ (anche perché il costo di un ettaro di vigna, anche se si trattava dei Colli Bolognesi e non delle più famose denominazioni Barolo o Brunello, era comunque ben maggiore di quello di un motorino nuovo…)e alla fine si decisero a comprare un tino in vetroresina da 100 litri, così Alessandro poteva portare a compimento per bene i suoi primi esperimenti di vinificazione. «Ovviamentefuun fallimento totale, era un rudimentale taglio bianco a base di pignoletto, trebbiano e albana, decisamente imbevibile!». La sua strada però ormai era tracciata, Alessandro si iscrive all’Istituto agrario di Bologna e nel tempo libero dà una mano nelle vigne circostanti per imparare il mestiere. A 16 anni prende finalmente in affitto un vigneto di un ettaro e mezzo per cominciare le prime vinificazioni da uva propria: inizia così a produrre un Pignoletto fermo e alcuni vini frizzanti da rifermentazione in bottiglia, vendendo la restante parte di uve. «A dirla tutta è stato mio papà ad affittare il vigneto, io ero troppo giovane per farlo, non me lo avrebbero mai dato!».
Mi stupisce avere di fronte un giovanissimo che ridà vita a una tecnica antica come la rifermentazione naturale in bottiglia, storicamente la più praticata modalità di vinificazione di questo territorio emiliano, dove si privilegia la produzione e il consumo di vini “con le bollicine” come compendio ideale per la grassa cucina bolognese. Per produrre un buon vino rifermentato naturalmente in bottiglia – che è veramente difficile da fare, perché la tecnica è complessa e non hai più possibilità, una volta sigillato il vino con il tradizionale tappo a corona prima della rifermentazione, di rimediare ad eventuali errori fatti in precedenza – bisogna avere due grandi qualità: sensibilità ed esperienza, che nonostante la giovane età Alessandro ha mostrato subito di avere innate. Ha sempre padroneggiato la materia in maniera impeccabile, andando semmai a fugare alcuni dubbi da alcuni vecchi vignaioli della zona, maestri nell’arte della rifermentazione.
Di qui in poi il percorso di Alessandro si fa sempre più interessante. Un paio di anni dopo infatti scopre che il podere a cui vende solitamente la sua uva sta per chiudere e coglie la palla al balzo: «Non potevo lasciarmelo scappare!». Qui nel 2015 produce le prime etichette con il suo nome, ma ormai non gli basta, ha bisogno di più spazi. Il salto avviene quanto si trasferisce in una cantina di 500 mq a Valsamoggia, con 11 ettari di superficie vitata e un’annessa sala degustazione in cui incontrare il pubblico, e dove vorrebbe «riuscire a produrre 40.000 bottiglie tra un paio d’anni!», racconta soddisfatto. Ma com’è essere un giovane vignaiolo sui Colli Bolognesi? «Non sempre facile», ammette Alessandro. «I miei genitori sono dipendenti pubblici che mi danno una mano quando possono ma mi sono dovuto inventare davvero da solo. È un mestiere in cui non si smette mai di imparare ma che dà enormi soddisfazioni, anche se non è sempre immediato riuscire a fare rete con gli altri vignaioli, ognuno preso dal proprio lavoro e dalle difficoltà quotidiane».
Il suo stile vinicolo è orientato alla realizzazione di vini semplici e immediati, di “taglio gastronomico”, come si dice in gergo. Premiato dalla guida Slow Wine 2019 come miglior Giovane vignaiolo, Alessandro svela timidamente alcuni progetti per il futuro: «Vorrei raggiungere i 10 ettari nei prossimi anni, sempre portando avanti un prodotto di qualità», racconta. «Ho una passione per le bollicine, infatti mi sto specializzando in metodi classici con basi di pignoletto, uva simbolo dei Colli, chardonnay e barbera. E poi chissà, magari metterò il naso anche nel mercato estero!». Alessandro guarda avanti anche per quanto riguarda la gestione delle vigne: «Ho deciso di eliminare diserbanti e prodotti chimici e sto anche pensando di convertire i terreni al biologico: le viti sono divise in cinque appezzamenti distinti e non sarà facile, ma il rispetto ambientale viene prima di tutto». Insomma, vi garantisco che il suo è un nome da tenere a mente, ne sentirete parlare in futuro!