I grani tradizionali
La storia della nostra civiltà è legata alla messa a dimora dei cereali.
Circa diecimila anni fa, in Medio Oriente, si scorgevano già immense distese di terra bionda nella valle del Giordano. Duemila anni dopo, il frumento era coltivato nella “Mezzaluna Fertile”, l’area che va dalla penisola del Sinai e dal delta del Nilo sino all’Iraq, passando attraverso la Palestina, il Libano, la Siria e la Turchia. Da qui, attraverso il Mar Egeo e la Grecia, raggiunse l’Italia e nel 2000 a.C. lo ritroviamo in buona parte dell’Europa. Una capacità di forte adattamento che in migliaia di anni ha consentito ai cereali di rappresentare oggi la coltura maggiormente diffusa e un cibo quotidiano alla base della nostra alimentazione.

Il capostipite dei frumenti è il farro piccolo, un cereale di bassa statura, il cui seme era protetto da alcuni involucri esterni, le glumelle. Il primo cereale ad essere però coltivato è stato il farro medio, sembrerebbe in Iraq intorno al 5000 a.C., seguito dallo Spelta, più alto rispetto ai primi due. Proprio da queste ultime tipologie di farro, il medio e lo Spelta, si svilupparono poi rispettivamente il grano duro e il grano tenero.
Oggi viviamo le conseguenze di una selezione innaturale
Dicevamo della capacità dei cereali di evolversi nel tempo a seconda del clima e del tipo di terreno che ha consentito il loro passaggio da specie selvatiche a specie coltivate. Nel bacino del Mediterraneo per esempio hanno prevalso il frumento, il farro e l’orzo, mentre nel continente africano il sorgo e il miglio, in Oriente il riso.
La selezione e l’incrocio delle migliori piante ha sempre avuto come obiettivo raccolti migliori e costanti nel tempo, ma nel XX secolo il fabbisogno di cereali si fece più impellente tanto da spingere la ricerca a trovare varietà, tecniche e modalità di coltivazione che garantissero una maggiore produzione per ettaro. Da quel momento, il miglioramento genetico subì una grossa accelerazione, cambiarono le metodiche utilizzate e, in pochi anni, furono messe in campo varietà super produttive, dette “moderne”, che scalzarono quelle tradizionali e ridussero il numero delle varietà coltivate. L’asse dell’attenzione si è spostato dalla biodiversità alla resa, si ricercano varietà di taglia ridotta che meglio resistano all’allettamento e alle fitopatie. Tutto questo però nella fase di coltivazione ha significato nel tempo il ricorso sempre più spinto alla chimica di sintesi.
Per mantenere alti i livelli di produzione a ettaro, stiamo progressivamente depauperando un numero crescente di suoli che hanno perso la loro fertilità.

La rigenerazione passa dai grani antichi
L’agricoltura intensiva sta distruggendo l’enorme biodiversità presente nel sottosuolo dove una miriade di microorganismi unicellulari e altri piccoli esseri viventi contribuiscono a rigenerare l’ecosistema e ripristinare la capacità produttiva della terra. Un’ottica rigenerativa ci suggerisce di guardare al futuro con un occhio al passato e alle sue buone pratiche. Un esempio su tutti ci è dato dal ritorno alla coltivazione dei “grani tradizionali” o vecchie varietà locali, un fenomeno che si sta allargando a macchia d’olio in tutta Italia e nel mondo. Si tratta di varietà che si sono sviluppate nel tempo in un territorio specifico e hanno un legame con le popolazioni che hanno abitato quel territorio. Varietà frutto di selezioni spesso inconsapevoli da parte degli agricoltori.

Solo per quanto concerne la penisola italiana, parliamo di oltre 500 denominazioni di vecchie varietà che rappresentano oggi una possibilità per la produzione di grano a basso impatto ambientale in territori definiti “marginali”, dove vengono privilegiate caratteristiche di rusticità e costanza di produzione negli anni.
Numerose aziende agricole stanno recuperando le varietà locali, abbandonate da lungo tempo, che hanno caratteristiche qualitative di assoluta eccellenza. Alcune di queste aziende sono in grado di chiudere l’intera filiera produttiva, producendo così farine, pane, pasta e altri prodotti da forno.
Queste piccolissime realtà ci insegnano che oggi è possibile un modo diverso di fare agricoltura e di produrre cibo.
Pane e pasta vengono prodotti in piccoli laboratori allestiti da aziende agricole che custodiscono i semi, producono il grano in maniera sostenibile, macinano a pietra per produrre un’ottima pasta secca e un pane artigianale. La trasformazione avviene in piccoli locali, poche le macchine impiegate e di modeste dimensioni, lenti i tempi di lavorazione, per garantire la qualità intrinseca e organolettica del prodotto. Il recupero dei cereali tradizionali sta rappresentando un’occasione per tante piccole comunità locali e noi cittadini con le nostre scelte alimentari abbiamo la possibilità di sostenere questo importante movimento.