«Slow Food vivrà un grande cambiamento», intervista a Carlo Petrini

«Non possiamo pensare di influenzare e cambiare il sistema alimentare e tutto quello che ne deriva restando soli, isolandoci sulle nostre posizioni e magari anche avendo paura di contaminarci, di incrociare strade che non sono le nostre e di ascoltare voci che suonano lontane».

Il fondatore di Slow Food annuncia alcune delle linee politiche che verranno discusse da  domani (venerdì 6) e fino a domenica 8 luglio a Montecatini Terme (Pt) per il IX Congresso nazionale di Slow Food Italia

«Dovremo avere la forza e la capacità di aprirci ed essere inclusivi verso i tanti con cui condividiamo obiettivi fondamentali come la lotta allo spreco, il superamento delle disuguaglianze, la tutela della biodiversità, l’inasprimento del cambiamento climatico, solo per citarne alcuni. Dovremo avere il coraggio di superare formalismi e strutture che potrebbero rischiare di tenerci ancorati a una realtà che è ormai superata.

Dovremo cooperare più da vicino con le altre associazioni, con i singoli cittadini, con le amministrazioni locali, con le comunità rurali, con i movimenti urbani.

Dovremo essere bravi a intercettare e a mettere in rete tutte quelle realtà che interpretano questo sentimento. Dovremo essere bravi a coinvolgere i docenti e le Università che riconoscono la necessità di democratizzare la cultura e di elevare i saperi tradizionali allo stesso livello di autorevolezza di quelli scientifici. Solo così loro saranno giganti, ma noi saremo moltitudine».

Petrini, in che direzione sta andando l’associazione che ormai vanta più di 30 anni di storia?

Il compito di questo congresso sarà quello di individuare la strada migliore per accogliere le istanze emerse dal nostro Congresso internazionale che si è svolto l’anno scorso a Chengdu in Cina, forse il momento più innovativo e coraggioso di questo movimento, secondo le esigenze, le aspirazioni, i programmi di Slow Food Italia. Quel confronto ha prodotto una dichiarazione che sintetizza le principali sfide del nostro futuro e, fra queste, il cambiamento della nostra forma organizzativa

Si spieghi meglio.

Ci è apparso chiaro che non siamo una forma associativa classica né una Ong, ma un movimento che lavora in rete e che nella rete ha la sua maggiore ricchezza. A Chengdu abbiamo scelto il modello organizzativo della comunità

Cosa intende Slow Food per comunità?

Il termine comunità non è nuovo nella storia di Slow Food e nella storia della civiltà in genere. La parola latina da cui deriva indica la capacità di saper mettere in comune esperienze, problemi, risorse, conoscenze, ma anche un modo di porsi e interconnettersi. Per noi, al centro dell’idea di comunità c’è il bene comune, legato al cibo, all’ambiente, alla socialità, alla spiritualità. E il suo elemento fondante è la sicurezza affettiva. Nei secoli le comunità hanno determinato il cambiamento, la ricostruzione se non la rigenerazione dell’economia, l’adattamento alle diverse situazioni, hanno espresso la capacità di realizzare le sfide.

State pensando ad una svolta davvero radicale.

No. Il processo evolutivo non avviene per fratture o rotture, ma crediamo vada agevolato. Dopo il congresso in Cina è iniziato l’affiancamento delle comunità alle Condotte. Abbiamo chiaro l’obiettivo: lavorare per l’inclusione e per diventare una rete unica, per favorire alleanze. Le comunità esistono già. Includerle, ed essere in grado di avere un’idea sempre più chiara delle persone che compongono il nostro movimento, significa riuscire a descriverne con maggiore precisione l’impatto, la diffusione, l’identità. Infatti, non possiamo pensare di cambiare il sistema alimentare restando soli, isolandoci sulle nostre posizioni e magari anche avendo paura di contaminarci, di incrociare strade che non sono le nostre e di ascoltare voci che suonano lontane.

L’associazione italiana che si riunisce a Montecatini è pronta al nuovo corso?

I soci a livello nazionale sono 30-35 mila, ma ci è chiaro che le nostre iniziative interessano una platea più ampia, che possiamo stimare in circa 300 mila persone. Nell’ultimo anno abbiamo aperto 500 orti scolastici e non possiamo certo dire a questi protagonisti del futuro che non sono parte di Slow Food. Sono questi gli spunti che ci portano a pensare di coinvolgere sempre più anche coloro che non hanno una tessera. Vogliamo consentire alle comunità di essere parte del movimento, senza passare attraverso le strutture gerarchiche del territorio, perché si tratta di persone che sono parte della nostra famiglia, della nostra cultura.