Giovane chef italiano che ha scelto la l’Islanda come casa, Cornel Popa guida la Slow Food Youth Network in Islanda. L’anno scorso ha collaborato con l’associazione senza scopo di lucro Samhjálp e si è offerto volontario per tenere un corso di cucina per sei mesi.
Sono Cornel Popa e ho 25 anni. Da otre tre anni vivo a Reykjavik, la spendida capitale della magica Islanda. Ho la fortuna di dividere il mio appartamento con un catto fantastico chiamato Rory, e presto Amelia si unirà alla nostra banda. Prima di arrivare in Islanda o vissuto a Londra, per circa due anni. Ma sono originario di un paesino di Carpino, un paesino in provincia di Foggia, dove tutt’ora vivono i miei genitori.
Posso affermare di essere uno chef professionista da circa 10 anni. Oggi a questo lavoro aggiungo quello di scrittore e quello di cuoco del rifugio per senzatetto. Due anni fa ho pubblicato il mio primo libro di cucina intitolato Cibo e famiglia, segreti di una cucina familiare italiana. Amo viaggiare e cerco di farlo a più non posso, tanto quanto amo la mia moto e la vita all’aria aperta. La mia ultima avventura prima dell’inizio della pandemia è stato un viaggio in moto di 6 mesi nel sud-est asiatico. La maggior parte delle persone che mi conoscono mi definirebbero un solitario, perché mi piace passare il tempo da solo; mi aiuta a concentrarmi sul mio lavoro. Ma questo non significa dimenticarmi degli altri, anzi. Sono sempre il mio primo pensiero.
Quando dalla crisi, nasce l’opportunità
Nel maggio dell’anno scorso, pochi mesi dopo l’inizio della pandemia da Covid-19, ho deciso di lasciare il ristorante in cui stavo lavorando. Il destino ha voluto che poche settimane dopo la mia lettera di dimissioni, la pandemia avesse raggiunto anche l’Islanda, così, ogni ristorante ha dovuto chiudere per alcune settimane. Una situazione che come sapete è rimasta critica anche dopo la riapertura. In poche parole, mi sono ritrovato senza lavoro. Se questo fatto da una parte mi concedeva molto tempo per la scrittura, d’altro canto bollette e affitto non sono state sospese. Davo fondo ai miei risparmi e la situazione diventava stressante.
Tutto per fortuna si è risolto per il meglio, ma questa situazione mi ha fatto pensare tanto alle persone meno fortunate do me, persone che magari non avevano risparmi e si trovavano di fronte a scelte di vita difficili. È stato allora che ho deciso che volevo aiutare le persone bisognose, al meglio delle mie possibilità, cosa che a quel tempo mi portò ad iniziare a fare volontariato per una mensa locale gestita da un’organizzazione non-profit chiamata Samhjalp.
Così, ho deciso di presentarmi due, tre volte la settimana per dare una mano in cucina. Finché non mi hanno chiesto di entrare a pieno titolo nello staff con un lavoro part time come cuoco per il rifugio.
Un corso di cucina che cambia la vita
Sin da subito però mi resi conto che il personale – composto per lo più da persone provenienti dal sistema carcerario e pochi volontari – non aveva particolari abilità culinarie. E così ho pensato che avrebbe avuto senso insegnare loro qualche tecnica di cucina di base organizzando un un corso di cucina (gratuito) dopo il lavoro che mirava non solo a insegnare loro a cucinare, ma anche a dar loro la fiducia di perseguire una carriera come cuoco (tra i mestieri più facili da trovare qui a Reykjavik), una volta che il servizio comunitario fosse finito. All’inizio la mia idea non è stata accolta con convinzione, ma io ero sicuro al 100% che almeno qualcuno sarebbe stato interessato. È così è stato: due dei 5 componenti della della nuova brigata di cucina hanno partecipato al corso. In circa due mesi, tutto lo staff della cucina era di preparare buoni piatti e per oltre 100 persone ogni giorno. E i due ragazzi che rimanevano dopo il lavoro, erano ora incaricati di addestrare i nuovi e potevano gestire facilmente l’intera cucina da soli.
A prima vista questo potrebbe non sembrare un grande risultato. Però bisogna considerare che partivano davvero da zero: ammetto che durante le prime settimane anche io ho avuto qualche dubbio sull’intera faccenda. Ma ho insistito insegnando l’organizzazione in cucina, a ridurre lo spreco e l’importanza di conoscere gli ingredienti. Siamo infatti riusciti a organizzare, con il permessi necessari, visite in cascina dove conoscere i produttori di cibo.
Alla fine di questo progetto, sono tornato al mio lavoro di cuoco e sono felice di dire che uno dei ragazzi ha preso il mio posto, ed è stato assunto da Samhjalp, cosa che non era mai successa prima. E insieme agli altri sono riusciti a gestire la cucina per molto tempo.
Che cosa ho imparato
A livello umano, questa esperienza mi ha dato molto. Mi ha insegnato ad avere una mentalità aperta e a non giudicare un libro dalla copertina. Quando ho iniziato questo progetto avevo i miei dubbi e anche pregiudizi – non voglio mentire – ma dopo aver passato un po’ di tempo con loro ho imparato che dietro le tende di carcerati, persone che soffrono di dipendenze o senzatetto, ci sono persone con hanno obiettivi e ambizioni, che hanno fatto errori in passato, ma stanno cercando di correggerli, persone che non vogliono altro nella vita oltre essere felici.
Chiunque può fare qualcosa per aiutare gli altri. Per esempio si può offrire aiuto alla mensa dei poveri locale, a volte basta semplicemente chiedere alle persone come si sentono per fare la differenza. Alla rete giovane di Slow Food consiglio, quando si organizzano le delle Disco Soup, di provare a collaborare con un rifugio per senzatetto, e far sì che i gruppi si mischino.
Noi abbiamo organizzato una Disco Soup all’interno del rifugio per senzatetto aperto a tutti. Si è creata una bella alchimia: sareste sorpresi di quanto possa fare una ciotola di zuppa calda. Può mettere insieme tutti, anche se solo per poche ore.
Che cosa puoi fare tu
Se stai pensando di fornire anche tu corsi di cucina, collabora anche con alcuni rifugi, nella maggior parte dei casi sarebbero più che entusiasti di aiutarti con la loro sede. Inizia con un piccolo gruppo di persone. Appendi volantini in giro per la tua città e lascia che la gente venga da te, non cercare di insistere con qualcuno che potrebbe non essere interessato. Se ne hai la possibilità, prendi grembiuli o giacche da cuoco: avere un’uniforme, anche qualcosa di semplice come un grembiule può portare un senso di appartenenza e di responsabilità. Ultimo ma non meno importante, non chiedere alle persone cose che potrebbero farle sentire a disagio, e se si aprono con te, non giudicarle o trattarle diversamente.
Ricorda che se hanno deciso di far parte del tuo corso, molto probabilmente significa che vogliono cambiare la loro vita in meglio.
Cornel Pola
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