Il cambiamento climatico è una delle sfide più urgenti e complesse che l’Europa e il resto del mondo si trovano oggi ad affrontare. Alcune delle sue cause profonde si possono ricondurre ai sistemi industriali attivi in campo alimentare e agricolo, che a livello globale sono responsabili per il 30% circa delle emissioni di gas serra. L’agricoltura industriale aumenta il problema dell’inquinamento e dell’effetto serra, in quanto favorisce da un lato l’allevamento intensivo di capi che rilasciano nell’atmosfera enormi quantitativi di sostanze inquinanti dall’altro uno spreco alimentare che ogni anno concerne circa 1,3 miliardi di tonnellate di commestibili, pari a un terzo di tutto il cibo prodotto nel mondo.

Slow Food ritiene che la lotta contro il cambiamento climatico esiga una presa di distanza dall’agricoltura industriale per favorire una diversificazione dei sistemi agroecologici del cibo. L’agroecologia è infatti meno vincolata ai combustibili fossili e adotta tecniche studiate per mantenere umidità e CO2 nei suoli, prevenire l’erosione, gestire in modo efficiente le risorse idriche e rallentare la desertificazione. Slow Food sostiene inoltre obiettivi più ambiziosi per la riduzione degli sprechi alimentari a tutti i livelli della catena alimentare.

 

 

Gli sprechi alimentari hanno raggiunto proporzioni spaventose: addirittura un terzo di tutto il cibo prodotto nel mondo va perduto senza essere consumato.

Nell’emisfero settentrionale vengono prodotti e acquistati alimenti in eccesso che spesso finiscono nella spazzatura perfino prima di avere raggiunto la data di scadenza. Secondo i dati forniti dalla Fao, il volume di cibo sprecato ogni anno si aggira in media sui 280-300 chilogrammi pro capite, calcolati su tutte le fasi della produzione: dalla raccolta alla lavorazione e alla distribuzione, fino alle nostre cucine.

Nel Sud del mondo, invece, gli sprechi alimentari dipendono dalla carenza di infrastrutture adeguate, luoghi di stoccaggio e sistemi di trasporto. Ma va perduto anche il cibo utilizzato come materia prima per biocarburanti, biogas e foraggi animali, in competizione con il consumo umano. In alcune parti del pianeta questa competizione risulta notevolmente sbilanciata in favore degli interessi degli speculatori e dell’agribusiness.

Gli sprechi alimentari non rappresentano soltanto un importante problema etico, ma comportano inevitabilmente uno stress superfluo per le risorse naturali del pianeta. Sovrapproduzione significa utilizzare più energia e più materie prime del necessario. Gli sprechi alimentari sono responsabili del 5% circa delle emissioni di CO2 che contribuiscono al riscaldamento globale e la quota sale al 20% per quanto riguarda le pressioni sulla biodiversità. Almeno il 30% dei terreni agricoli viene sfruttato per produrre cibo che non giungerà mai a destinazione, utilizzando un volume di acqua (definito come consumo di acque di superficie e di profondità) pari a circa 250 chilometri cubici l’anno: tre volte il lago Lemano.

Il triste paradosso è che gli sprechi si moltiplicano a ogni anello della catena di fornitura mentre sul pianeta un miliardo di persone patisce la fame. È il sintomo più evidente di un sistema distorto e non sostenibile sul lungo termine che tratta il cibo come una merce, spogliandolo di tutti i suoi valori culturali, sociali e ambientali.

Slow Food, di conseguenza, lavora per restituire al cibo la sua centralità, tanto nella sfera personale quanto in quella pubblica, dimostrando il suo valore inestimabile in termini economici, ambientali, sociali e culturali. Gli sprechi di cibo sono inaccettabili e la lotta contro questo fenomeno è uno degli aspetti fondanti della missione di Slow Food.