Circa un mese fa, l’emergenza siccità che stava colpendo i territori piemontesi, tra cui molti vocati alla produzione agricola è salita agli onori della cronaca.
Ora questa criticità torna a riproporsi, ma questa volta per trovare la parte chiamata in causa dobbiamo spostarci un po’ più in alto fino ad arrivare nelle nostre vallate alpine.
Di solito quando si parla di crisi climatica e montagne l’argomento centrale è lo scioglimento dei ghiacciai, ora, a questo preoccupante scenario, si aggiunge un altro preoccupante campanello di allarme.
Il rifugio Quintino Sella situato ai piedi del Monviso, a più di 2600 metri di altitudine, ha annunciato la sua chiusura con un mese di anticipo rispetto alla prassi, proprio a causa della scarsità di risorse idriche che impedisce il regolare svolgimento delle attività. Non sono però solo i gestori del rifugio a doversene andare: l’assenza d’acqua non risparmia neppure i pastori e le loro greggi, che in questo periodo sono ancora soliti essere all’alpe. Anticipare il ritorno alle stalle perché in alta quota il bestiame non ha più da bere e mangiare, è però un’operazione abbastanza complessa e non priva di implicazioni dirette e indirette.
Le conseguenze della crisi climatica: a rischio i formaggi di alpeggio
Ad esempio, chi tra gli amanti dei formaggi non apprezza particolarmente quelli prodotti durante il periodo estivo in alpeggio? Un aspetto legato all’erba dei pascoli di cui si cibano gli animali, che è una fonte di nutrimento migliore rispetto anche solo al fieno, tralasciando poi mangimi e insilati vari. Per effetto a cascata questo porta ad avere un latte dal profilo nutrizionale e organolettico più elaborato, e in ultimo un formaggio che – se a latte crudo come difendiamo da decenni noi di Slow Food – si distingue per un sapore intenso e note spiccate di erbe e fiori che richiamano i prati d’alta quota.
La ricchezza gusto-olfattiva dei formaggi di alpeggio, unita alle difficili condizioni di lavoro che comporta la montagna, si traducono in un maggior prezzo finale di vendita. Dover concludere il periodo in malga prima del previsto e avere così una minor produzione, rappresenta anche una perdita economica importante. E se mentre sono al pascolo le greggi mangiano l’erba in autonomia e seguendo i loro ritmi, una volta rientrate nelle stalle necessitano di fieno. Fieno che con un ritorno anticipato, magari non è ancora completamente pronto per essere consumato, oppure che non sarà sufficiente a garantire l’intero fabbisogno dei capi fino al periodo estivo successivo.
Il fondamentale ruolo di guardiani del paesaggio
Accanto alle questioni di carattere più tecnico, c’è poi un altro importante ruolo, o per meglio dire servizio, che la pastorizia in alta quota fornisce gratuitamente. Sto parlando del mantenimento del paesaggio montano che oltre ad avere un valore estetico, è di fondamentale importanza ad esempio nel tenere pulite le aree di interesse e così facendo prevenire gli incendi. In questo caso fare ritorno a fondovalle prima del previsto è come lasciare un cantiere incompiuto.

Se adottiamo un approccio integrato e capiamo che tutto è connesso, vediamo come la problematica della siccità può avere implicazioni molto importanti, anche su altre questioni ambientali, o settori quale il lattiero caseario, con cui a prima vista non ha nulla a che vedere.
Ed è proprio mettendo al centro questo settore, i suoi produttori e gli animali senza cui il formaggio nemmeno esisterebbe, che la XIII edizione di Cheese prevista a Bra dal 17 al 20 settembre cercherà di stimolare un dibattito sulle grandi sfide che pone oggi di fronte l’attualità. Sfide che riusciremo a vincere solo se saremo capaci di tenere insieme tutti i puntini, anche quelli apparentemente più lontani.
Carlo Petrini
c.petrini@slowfood.it