Quanto costano le parole nel menù?

Pare che il numero di parole utilizzate per descrivere i piatti in un menù incida sul costo della cena. A sostenerlo  Dan Jurafsky, professore di linguistica della Stanford University. Jurafsky ha esaminato 6.500 menù americani, scoprendo che ogni singola lettera non strettamente necessaria fa aumentare il prezzo del piatto di 69 centesimi [lo studio è stato condotto sul dollaro]. Le parole che costano di più? Esotico e speziato. Quelle che ammorbidiscono il conto? Acquolina in bocca, sublime e croccante.

«In un ristorante costoso, non ti chiedi se un cibo croccante lo sarà effettivamente: supponi di sì», suggerisce Jurafsky «I ristoranti più economici invece preferiscono precisare tutto nel timore che l’ospite venga deluso». La ricerca mostra infatti come siano i ristorantini di fascia media a cercare di inserire le descrizioni dei piatti: in questi locali è più facile trovare aggettivi come delizioso, ottimo, o gustoso che fanno scendere il costo medio del piatto di otto centesimi o espressioni come ricco, a pezzettoni e acidulo che abbassano il prezzo di 3 centesimi a piatto. Anche la lunghezza di un menù ci svela qualcosa. Di solito, i ristoranti tipo take away o fast food hanno lunghi menù e giustificano il maggior prezzo di alcuni piatti con espressioni tipo come fatto in casa, selezione dello chef o componi il tuo piatto.

Ma sarà davvero così? Il giornalista inglese Clint Witchalls era alquanto scettico e ha voluto verificare se quanto scoperto da Jurafsky fosse veramente applicabile a tutti i ristoranti. Così ha chiesto allo studioso di Stanford di confrontare due menù-colazione di due ristoranti del Regno Unito: l’Aqua Shard di Londra, di alta fascia, e Wild Zucchini a Cockermouth, a buon mercato. Sebbene Aqua Shard sembrava invertire il trend di menù includendo espressioni come alla buona e componi il tuo piatto tipiche della fascia top, Jurafsky segnala che è solo dovuto al fatto che si tratta di un menù per la colazione dove, in genere, le scelte sono più semplici e comuni rispetto ai menù di pranzo e cena. A parte questo, per il linguista Usa anche i menù britannici seguono i trend statunitensi:si possono dunque tirare un po’ di somme. «C’è un aspetto che accomuna i menù nei ristoranti più costosi: i piatti hanno un nome proprio cui segue l’elenco dei preziosi ingredienti (muniti di passaporto) e del loro metodo di preparazione». Per contro, come accennavamo, i localini con meno pretese – o forse meno attenzioni alla materia prima e alla provenienza dei prodotti – preferiscono descrizioni accurate dei piatti: le frittelle sono soffici, la pancetta croccante e le specialità francesi del menù sono spesso affiancate da un improbabile: oh la la!

E la contaminazione linguistica? Nei ristoranti a buon mercato, spopola l’uso del maccheronico, ovvero quel mix di inglese, francese e italiano che invece fino agli anni ’70 era chiaro segno di un ristorante esclusivo. Jurafsky ha scoperto che nei menù dei più costosi ristoranti dei primi anni del ‘900 il francese indicava classe e raffinatezza del ristorante e buon cibo. Potremmo dire lo stesso oggi?

A cura di Margherita Barile
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