Esiste un’attività in perfetto equilibrio fra tutela dell’ambiente e produzione di reddito? O qualunque intervento umano è sempre sbilanciato: dalla parte della natura o del profitto?
Sì, il perfetto equilibrio esiste: si chiama prato stabile.
Lo si trova sulle Alpi, sugli Appennini, in collina, ma anche in pianura, nel regno dell’agricoltura intensiva, la pianura Padana, dove ne sopravvivono porzioni importanti. Sopravvivono, ma ogni anno diminuiscono: in montagna per via dell’abbandono, in pianura per la ragione opposta: l’avanzare di monocolture e cemento.
Il prato stabile è allo stesso tempo fragile e poco pretenzioso: non deve essere arato, dissodato, coltivato. Può essere irrigato e fertilizzato, ma solo con il concime degli animali. In montagna spesso è un pascolo, mentre in pianura si sfalcia per fare fieno. Ha un’età variabile – da qualche anno a più di un secolo – ed è ricco di biodiversità: in montagna si arriva a più di cento essenze, in pianura almeno 15, 20.
Il pasto ideale per gli impollinatori e per i ruminanti, che l’allevamento intensivo ha trasformato in consumatori di mais e soia, ma che – per loro natura – dovrebbero mangiare erba per trasformarla in un latte molto diverso da quello che troviamo quasi sempre sul mercato. Se gli animali mangiano erba e fieno di prato stabile, infatti, latte e formaggi sono ricchi di molecole antiossidanti (come beta-carotene e vitamina E) e di omega 3, acidi grassi importantissimi nel metabolismo del colesterolo, e hanno un spettro di sapori e profumi più ampio e complesso. Insomma, sono più buoni e più sani.
I benefici dei prati non si fermano qui. Riescono addirittura nella sfida più ardua: trasformare l’allevamento da uno dei settori con un impatto maggiore sull’ambiente a un’attività che contrasta la crisi climatica. Il principale strumento per trattenere CO₂, infatti, è il suolo, capace di assorbire 1/4 delle emissioni prodotte dall’uomo. Una capacità che cresce con la fertilità e la ricchezza di vegetazione. Per questo il suolo ricoperto da prato stabile è in cima alla lista delle soluzioni, addirittura più del bosco, perché non corre il rischio di liberare in pochi minuti tutto il carbonio custodito a causa di un incendio. E anche per questo Slow Food ha messo al centro della sua strategia – e della prossima edizione dell’evento Cheese – i prati stabili e i pascoli e i meravigliosi caci che li raccontano.
Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia