Piccoli borghi: manca la volontà politica per salvarli. La storia di Varapodio.

Ovvero come la chiusura di un piccolo forno possa rappresentare una grave perdita per una comunità e uno sconvolgimento familiare. La storia del Forno Pellegrino racconta di un’altra occasione persa nella tutela dei borghi, del territorio e della biodiversità.

La storia che vi raccontiamo oggi arriva da Varapodio (Rc) borgo di duemila abitanti ai piedi dell’Aspromonte, ricco di storia. Fondato probabilmente nel 951, è da questa altura che si organizzava la difesa della Piana di Gioia Tauro dalle incursioni saracene. E in questa terra ricca di boschi, uliveti e agrumeti che nascono e vivono Maria Rosa Longo e Giuseppe Pellegrino. Di famiglia contadina lei; lui impara a maneggiare grano e farine ancora prima di camminare, nello storico panificio avviato dalla bisnonna: il Forno Pellegrino di Varapodio.

Dopo il matrimonio, nel 1998, Maria Rosa inizia a innestare la sua vivacità e creatività nella gestione del forno ormai nelle sapienti mani del marito Giuseppe. È una giovane curiosa, dinamica, di famiglia semplice e tradizionale. Continua a studiare anche dopo il matrimonio e, pur con due bimbi piccoli e il duro lavoro con Giuseppe nel forno, si laurea in Economia.

È lei a insistere per allargare la produzione – già ottima – con nuovi prodotti, sfruttando ogni bontà e risorsa delle loro campagne. Dagli orti di famiglia arriva la frutta (fragole, pesche, albicocche) per marmellate, crostate, i cornetti e canestrini. Erbe aromatiche, zucchine, melanzane, asparagi, peperoni e ogni altro tipo di verdura arricchiscono pizze, calzoni e focacce. Una delizia per il palato e per gli occhi!

Intanto Giuseppe e Maria Rosa, instancabili, si muovono per l’Italia. Frequentano corsi di formazione, fanno lezione con i grandi maestri della panificazione e della pasticceria, affinano le idee e prendono sempre maggiore consapevolezza del loro ruolo non solo di artigiani, ma anche ambasciatori della loro terra e difensori della biodiversità. Decisivo è l’incontro, nel 2018, con Davide Longoni, importante riferimento della panificazione contemporanea e cofondatore del movimento Pau, i Panificatori agricoli urbani. Giuseppe e Maria Rosa si ritrovano appieno in quella filosofia.

Fare pane non è un semplice miscelare acqua, lievito e farina, ma esprimere nell’impasto il meglio del territorio, un vero e proprio atto agricolo.

Inizia così la ricerca di farine e materie prime locali e la produzione di pani interamente tracciabili, fatti con grani storici biologici macinati a pietra e pasta madre viva, con lavorazione artigianale e cottura nel forno a legna.

Faticano e crescono tanto, ma soprattutto cercano di farlo ricercando sempre genuinità e sostenibilità.

Forno Pellegrino, nella piazza centrale di Varapodio
Il nuovo punto vendita del Forno Pellegrino, nella piazza centrale di Varapodio

L’entusiasmo di Maria Rosa travolge il marito e tutta la comunità, tanto che il loro impegno va oltre il panificio e si arricchisce di eventi di formazione, campagne di sensibilizzazione per le scuole e corsi di panificazione casalinga, per divulgare i principi su cui si fonda il loro Forno Pellegrino. Arriva anche la certificazione biologica, che permette di sfornare il primo pane dell’Aspromonte con filiera certificata, prodotto con farina maiorca molita a pietra, trasformato con lievito madre e cotto nel forno di Varapodio con legna di ulivo, proveniente dalla potatura degli alberi di famiglia.

Il nuovo punto vendita del Forno Pellegrino, nella piazza centrale di Varapodio
La comunità di Varapodio riunita per l’inaugurazione del nuovo punto vendita del Forno Pellegrino

Nel 2020 arriva la pandemia e stravolge ogni programma. La spesa alimentare si concentra nei supermercati, si fermano le feste di paese, gli eventi che riuniscono le persone. Seppur da un luogo periferico, i coniugi Pellegrino provano a resistere, a proporsi come presidio di qualità nella Piana di Gioia Tauro. Ma non è abbastanza, i prezzi delle materie prime aumentano, le bollette lievitano più del loro pane, gli incassi bastano appena per pagare il mutuo e i costi di gestione dell’attività.

«Avere tre figli e vedere il vuoto davanti è terribile – racconta Maria Rosa -. Tre mesi fa siamo stati costretti a smontare tutto e abbassare la serranda del forno, dopo più di cento anni di attività. È rimasta una grande tristezza, la piazza del paese vuota, senza colore e senza profumi.

Pur soppesando le difficoltà, non avevamo mai pensato di spostarci da Varapodio. Sapevamo che restare ci avrebbe permesso di mantenere quello che eravamo, la nostra storia, la nostra identità. La qualità dei nostri prodotti era determinata da tutto quello che mettevamo dentro. La legna dei nostri ulivi e aranci bruciata nel forno dava al pane un aroma difficile da ottenere in un altro luogo».

A malincuore Giuseppe lascia la famiglia e si sposta a Parma dove trova lavoro in un grande forno cittadino, di quelli in cui si sforna come in una catena di montaggio. Maria Rosa resta, alla ricerca di una speranza per riaprire la serranda del forno: «Ho provato a cercare fonti di finanziamento, sostegni per l’autoimprenditorialità femminile, nuove idee per ripartire, ma al momento la priorità è quella di pagare i debiti accumulati e mantenere sereni i nostri figli».

Negli ultimi giorni i due sono partiti insieme verso la Toscana per partecipare a un grande progetto di recupero dei grani antichi locali, dove sono impiegati della produzione da forno con le farine macinate sul posto. Chi li ha scelti ha ben valutato la competenza, l’entusiasmo e l’esperienza della coppia, per entrambi è una bella sfida e un’ulteriore occasione di crescita, ma per la Calabria si tratta dell’ennesima perdita di professionalità, di un’altra famiglia smembrata, di un altro piccolo paese privato di un servizio essenziale com’è il forno e di un intero territorio che perde energie, sapere, coraggio, bellezza e passione.
Di un pezzo d’Italia che non avremmo voluto perdere.

(Francesca Cugliandro, redazione Slow Food Calabria)


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