La forza prorompente delle comunità del cibo risiede nella loro stessa natura. Diventando consumatori di cibo, in realtà ci lasciamo consumare da esso.
Perché, come abbiamo visto, il cibo ci mangia perché mangia la terra, le sue risorse, le sue possibilità di rigenerarsi. Zygmunt Bauman lo spiega bene: «Chi fa parte della comunità dei consumatori è a sua volta un prodotto di consumo». Lo stesso succede con il cibo per chi decide di assecondare il sistema; è molto triste riconoscerlo ma è così.
Le comunità del cibo (e vale anche per le comunità energetiche) si sottraggono a questo destino perché sono corpi sociali attivi: mangiano il cibo invece di farsi mangiare perché, essendo coproduttori, hanno cura della natura. La cosa straordinaria è che ognuno di noi può partecipare a una comunità. Basta volerlo.
Un modello comunitario per realizzare ciò che sembra impossibile 
Quella comunitaria è una struttura che ha bisogno di un comune sentire. E ancora una volta a indicarci la strada è Francesco d’Assisi, la cui testimonianza, viva da otto secoli, ci insegna come occorra partire dal necessario per poi passare al possibile, e infine scoprire di essere in grado di raggiungere ciò che sembra impossibile. Prima tappa, garantire diritti che oggi in larga parte del mondo non sono garantiti: il diritto al cibo, il diritto a un lavoro decoroso, il diritto a vivere in un ambiente pulito e sano.
La seconda fase è quella del possibile: mangiare il 50% in meno di proteine animali è possibile qui e ora; trasferire i nostri risparmi in una banca etica è possibile qui e ora. Il terzo step, l’impossibile, verrà da sé: una politica planetaria realmente sostenibile, istituzioni planetarie in grado di definire e proteggere i beni comuni globali e così via. Alla base di tutto c’è la costruzione di un nuovo modello comunitario.
Quale sovranità alimentare?
Il recupero della sovranità alimentare costituisce una condizione imprescindibile per la costruzione di una civiltà più rispettosa dell’ambiente e più giusta. Quando invece si inseguono continui incrementi produttivi ottenuti con fertilizzanti chimici e pesticidi, si generano enormi monocolture o allevamenti intensivi in territori che ne risultano violentati e stravolti, spingendo altrove gran parte degli abitanti e compromettendo per decenni la fertilità dei suoli e la biodiversità locale.
Mai nella storia come negli ultimi decenni abbiamo assistito alla devastazione di terreni e falde acquifere, devastazione figlia della privatizzazione di risorse che dovrebbero essere comuni.
Essere sovrani, al contrario, significa riaffidare alle comunità del cibo la facoltà di decidere cosa e come produrre, come distribuire e far co-produrre, coinvolgendo in questo processo i destinatari finali.
Da Il gusto di cambiare, G. Giraud, C. Petrini
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