Per gli affaristi dell’agroalimentare il fine giustifica sempre i mezzi. Per decenni, le multinazionali del settore hanno esercitato pressioni sui governi di tutto il mondo affinché allentassero le norme sugli Organismi geneticamente modificati (Ogm) facilitando l’introduzione di queste sostanze nei nostri alimenti, senza necessità di etichettatura.
Slow Food ritiene che, oltre a non essere necessari per nutrire i popoli, gli Ogm danneggino gli sforzi per rendere l’agricoltura più sostenibile. Dalla Corea del Sud all’Uruguay, il nostro movimento lavora per impedire che questi organismi arrivino nei nostri terreni e finiscano nei nostri piatti senza che ci sia dato modo di saperlo.
L’ultima nostra battaglia riguarda la recente revoca da parte del Kenya del divieto decennale sugli Ogm.

Il ritorno degli Ogm in Kenya
Nell’ottobre del 2022, il Consiglio dei ministri keniota, presieduto dal presidente William Ruto, ha revocato il divieto di Ogm in Kenya. La misura è stata adottata in modo inaspettato nell’ambito della campagna per combattere il cambiamento climatico e salvaguardare la sicurezza alimentare, resa necessaria dall’attuale crisi dovuta alle condizioni climatiche estreme e alla situazione geopolitica. Sicché la coltivazione e l’importazione di mais Ogm sono ora autorizzate in Kenya.
I sostenitori degli Ogm hanno celebrato la scelta e lodato gli sforzi del governo nel gestire una crisi che ha visto più di 4 milioni di kenioti fronteggiare la fame. «Non c’è nulla di male ad aggiungere gli Organismi geneticamente modificati alla lista delle tante cose che ti possono uccidere in questo Paese. È per questo che abbiamo deciso di ammetterli finché non saremo certi di avere mais a sufficienza», ha dichiarato Moses Kuria, segretario di Stato per il commercio.
Il Kenya si sta ancora riprendendo dagli effetti della pandemia di Covid-19, che ha peggiorato la già fragile situazione e minacciato i mezzi di sussistenza dgli agricoltori di piccola scala e di milioni di kenioti. Tuttavia, usare questa situazione come scusa per revocare il divieto sugli Ogm non è la soluzione.
Una scelta poco democratica
La partecipazione pubblica in merito a tutte le questioni che riguardano la vita dei cittadini è sancita dalla Costituzione keniota. I kenioti non dovrebbero subire le decisioni prese dai consigli di amministrazione su questioni fondamentali che riguardano direttamente la loro salute, il benessere animale o l’ambiente. Se il governo avesse davvero agito in buona fede nel revocare il divieto, sarebbe stata condotta un’adeguata partecipazione pubblica per affrontare tutte le preoccupazioni e prendere una decisione democratica.
La realtà è che la decisione di aprire le porte agli Ogm in Kenya, presa in assenza di queste condizioni, limita la libertà dei kenioti di scegliere ciò che vogliono mangiare e il loro potere di plasmare il proprio destino.

Le (opache) strategie delle multinazionali
Nel corso degli anni, le multinazionali hanno adottato diverse misure di mitigazione e adattamento alle complesse sfide che l’agricoltura africana si trova ad affrontare. Alcune di queste sono state vendute come sostegno agli agricoltori africani più deboli, con la falsa pretesa di aiutarli a diventare più resilienti.
Un esempio è il programma Water efficient maize for Africa (Wema – mais a basso consumo idrico), finanziato dalla fondazione Bill e Melinda Gates e dalla fondazione Howard G. Buffett. Una collaborazione che aveva l’obiettivo di sviluppare varietà tradizionali di mais, geneticamente modificate (Gm) per resistere agli insetti e alla siccità, da destinare all’agricoltura africana. Tuttavia, alcune delle varietà donate ai Paesi africani si sono rivelate un fallimento in altre parti del mondo dove sono già state gradualmente abbandonate. Senza considerare che le colture Gm richiedono interventi costosi e sollevano non poche preoccupazioni relative alla biosicurezza: poco si sa sugli effetti che hanno sulla salute umana, mentre è certo il loro contributo all’erosione delle culture alimentari tradizionali. Inoltre, le sementi brevettate espongono gli agricoltori di piccola scala alle leggi sulla proprietà intellettuale e al pagamento dei diritti alle multinazionali.
Difendiamo la sovranità alimentare e l’autodeterminazione dei popoli
Slow Food ribadisce la sua posizione: il Kenya, e l’Africa tutta, non devono essere trattati come cavie da laboratorio per testare metodi sperimentali, né come discariche di tecnologie che hanno fallito altrove.
Slow Food Kenya è contro il controllo esterno del sistema alimentare africano. Le multinazionali, sostenute dagli investitori stranieri e dai Paesi sviluppati, hanno già un controllo significativo sul sistema alimentare africano, a spese delle comunità produttrici e dell’agricoltura familiare. A causa dei loro interventi, agricoltori, pastori e comunità indigene hanno perso le loro terre a favore dell’agricoltura industriale. Ciò ha provocato la perdita di biodiversità e il degrado ambientale in diversi Paesi, tra cui Burkina Faso, Costa d’Avorio, Etiopia, Ghana, Mozambico, Tanzania, Benin, Malawi, Nigeria e Senegal.

L’agroecologia e la custodia della biodiversità sono le uniche soluzioni possibili ai cambiamenti climatici e al degrado ambientale. Gli agricoltori selezionano e si scambiano i loro semi da 10.000 anni: questa pratica ha portato all’evoluzione di colture autoctone, resistenti alla siccità, adattate a diverse aree e in grado di resistere a condizioni climatiche avverse. La perdita di biodiversità in Kenya e in altri Paesi africani, già catastrofica per la resilienza delle comunità di fronte alla crisi climatica, è aggravata dall’introduzione degli Ogm e dalla conseguente diffusione delle monocolture.
Alziamo la voce per il cambiamento
Non si tratta più di ordinaria amministrazione. Non possiamo restare a guardare; dobbiamo alzare la voce per combattere questa minaccia alla sovranità alimentare di questi Paesi. Dobbiamo promuovere il cambiamento che vogliamo per il mondo e migliorare il sistema alimentare globale. Sembra un campo d’azione troppo grande per noi ma non è così. Possiamo agire a partire da un atto molto semplice: fare la spesa, locale e di stagione. Insieme abbiamo il potere di boicottare i prodotti geneticamente modificati.
I nostri sforzi congiunti mirano a promuovere la cooperazione globale, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, gli interventi dal basso e, infine, a spingere i responsabili politici a fare scelte più sostenibili per il nostro futuro.