Quando ci mettiamo in macchina per andare a fare la spesa, sul treno, nei trasferimenti casa-lavoro di tutti i giorni. Dal finestrino vediamo spesso scorrere prati più o meno verdi e più o meno selvaggi. Sono sfondo dei nostri trasferimenti quotidiani – soprattutto per chi vive fuori città – ma pochissime volte ci chiediamo quale sia il loro utilizzo.
Molti sono prati monospecifici, altri sono abbandonati e altri ancora – pochi – sono prati stabili. A questi ultimi abbiamo dedicato l’ultima edizione di Cheese, oltre a un Manifesto per tutelarli e rinnovarli.
Ma che cosa sono i prati stabili? Perché è importante salvaguardarli?
I prati stabili sono un serbatoio di biodiversità per le nostre campagne, ma se fino ad alcuni decenni fa erano habitat comunissimi, oggi sono diventati rari.
Ne parliamo nel prossimo modulo di Food to Action Academy, la formazione dedicata ai soci e alle socie Slow Food, che prende il via martedì 7 novembre con l’appuntamento Salviamo i prati stabili, i pascoli e i pastori!
La partecipazione è gratuita per tutti i soci:
scopri qui il programma e associati o rinnova la tua tessera per entrare nell’Academy di Slow Food!
Intanto, per arrivare preparati al prossimo modulo abbiamo chiesto aiuto a Giampiero Lombardi, docente dell’Università di Torino Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari, e tra i relatori della prima lezione.
Giampiero, a un profano del tema tutti i prati sembrano uguali ma è davvero così? Abbiamo nominato più volte negli ultimi anni – in occasione di Cheese e non solo – i prati naturali, i prati stabili, i prati agricoli e i pascoli: quale è la differenza?
Iniziamo chiarendo che i prati naturali non esistono. In gran parte dell’Europa i prati naturali si trovano solo sopra i 2500 metri d’altitudine dove le condizioni ambientali e la scarsità di nutrienti limitano la presenza della vegetazione arborea.
Sotto quell’altitudine, invece, tutte le volte che facciamo una passeggiata in collina o in campagna, i prati che vediamo sono stati creati dall’uomo.
Tra questi dobbiamo distinguerne almeno due tipi: la maggior parte è seminata, spesso con una sola specie. Si tratta, cioè, generalmente di monocolture, gestite solo per produrre foraggio, con un impiego di fattori della produzione non molto diverso da quello del mais o del riso, anche se, diversamente da questi ultimi, coprono il suolo anche nelle stagioni fredde. Una minor parte invece è costituita da prati stabili, meglio definiti prati permanenti seminaturali.
Ma cosa sono i prati stabili?
Sono superfici erbacee create nel corso di migliaia di anni dall’uomo grazie al pascolamento degli animali e rappresentano un’enorme fonte di biodiversità. Sono ricchi di decine di erbe diverse, anche centinaia in montagna, delle quali un paio dominanti e poi altre 50, 60 che le accompagnano.
Quindi i prati stabili si mantengono da soli?
No, in virtù della loro origine antropica si mantengono solo attraverso l’azione costante dell’uomo che può agire in due modi: con lo sfalcio o il pascolamento. Per il loro mantenimento, quindi, l’attività umana come l’allevamento degli erbivori è un servizio fondamentale.
Senza erbivori non ci sarebbero i prati stabili, così come senza prati non ci sarebbero gli erbivori.
Quale è lo stato di salute dei prati stabili e quanti sono in Europa e in Italia?
In Europa rappresentano una superficie grossa più o meno quanto la Francia e sono più diffusi in Irlanda, Spagna e Portogallo. Accade perché l’Irlanda, ad esempio, anche a causa delle condizioni climatiche che non permettono di coltivare estensivamente il mais, ha conservato grandi superfici erbacee.
In Italia, la superficie occupata dai prati naturali è pari a 32mila chilometri quadrati, ma negli ultimi 40 anni abbiamo perso un quarto del totale.
Il Piemonte ospita il 30% dei prati del nord Italia, anche grazie a un ritorno alla praticoltura negli ultimi anni. Altrove la situazione è meno positiva: è ancora recuperabile, ma ci sono campanelli d’allarme importanti, soprattutto nella Pianura Padana dove gran parte delle superfici è destinata a coltivazioni più intensive.
Le cause?
Nelle zone di pianura principalmente l’urbanizzazione e l’industrializzazione dell’agricoltura: il suolo dei prati, tra gli altri suoli, è consumato dall’espansione delle città e delle industrie. Mentre in collina e montagna è stato il fenomeno opposto: l’abbandono, la fine dell’attività antropica, e così gli erbivori non pascolano più e la natura riprende i propri spazi.
Il cambiamento climatico può essere un’ulteriore minaccia?
La maggior parte delle colture presenti oggi soprattutto in pianura è poco adatta a sopportare temperature sempre più alte, precipitazioni sempre più irregolari ed eventi climatici estremi. Al contrario, i prati stabili sono in grado di adeguare le propria composizione al clima che cambia. Per questo è però necessario molto tempo; quindi oggi la vera sfida è anticipare i cambiamenti, per esempio, seminando specie resistenti alla siccità in praterie già esistenti, oppure integrando i foraggi di origine erbacea con quelli di origine arbustiva o arborea.
Slow Food ha lanciato un progetto per sensibilizzare sul tema e invitare i cittadini, gli enti e le aziende a unirsi a noi nella sottoscrizione del manifesto Salviamo i prati stabili, i pascoli e i pastori.
Leggi qui e firma il Manifesto
Ma perché è importante salvare e ripristinare questi prati?
Per concludere, parliamo spesso di biodiversità vegetale e animale, ma perché la biodiversità di questi prati – composta esclusivamente da specie erbacee – è un patrimonio da tutelare?
Da dove cominciare? I benefici sono innumerevoli.
La ricchezza di biodiversità dell’erba si traduce in ricchezza di nutrienti per gli animali che se ne nutrono. Questi prati sono importanti affinché il foraggio destinato agli erbivori – come fieno o attraverso il pascolamento – sia composto da molte specie e non 1-2 come avviene negli allevamenti più intensivi.
Le varie specie hanno caratteristiche diverse che influenzano positivamente la qualità del latte. Latte e formaggi da prato stabile hanno una complessità aromatica e gustativa impareggiabile, oltre a essere più nutrienti e sani (per esempio contengono più acidi grassi della serie Omega 3).
Per non parlare del benessere animale: l’animale che può pascolare, può muoversi liberamente e nutrirsi di biodiversità. In media, una vacca alimentata con foraggi di prati stabili riesce a sostenere sette, otto, anche dieci parti contro un parto e mezzo degli animali degli allevamenti più intensivi.
Inoltre, il suolo che ospita i prati stabili è un suolo più sano, fertile e capace di immagazzinare maggiori quantità di carbonio che non è rilasciato con facilità, neppure se scoppia un incendio, perché è trattenuto nelle radici.
Per saperne di più sulle connessioni tra prati stabili, pascoli, allevamento sostenibile e soluzioni al cambiamento climatico vi aspettiamo al penultimo modulo di Food to Action Academy, in partenza il 7 novembre: iscriviti qui!
Poi l’appuntamento con Food To Action Academy è il solito giorno, alla solita ora:
il martedì dalle 18 alle 19.30.