Le voci delle Comunità Slow Food in Turchia: «Nutrire la speranza del domani»

Le Condotte e Comunità Slow Food in Turchia hanno raggiunto le città più colpite dal terremoto del 6 febbraio per offrire il loro sostegno.

«Con questo terribile terremoto le persone hanno perso non solo le loro case, ma anche i loro ricordi, i loro beni, le loro comunità. Giorni fa ho sentito qualcuno dire: “La paura passerà, ma la tristezza sarà sempre qui con noi” – racconta Sabiha Apaydın Gönenli, della Comunità Slow Food Heritage Vines of Turkey, mentre descrive la situazione nel Paese.

comunità slow food turchia La gente ha reagito immediatamente, cercando di aiutare in tutti i modi possibili. Con la nostra rete di ristoranti abbiamo cercato di inviare cibo e attrezzature da cucina alle città più colpite, anche se sapevamo di dover fare di più. Nei primi due giorni le persone non avevano nulla da mangiare, ma l’urgenza era salvarli dai crolli. Il popolo turco ha dimostrato un’incredibile solidarietà, investendo il proprio tempo e denaro per aiutare chi ne aveva bisogno in autonomia, senza aspettare i sistemi di aiuto ufficiali». 

«Per il nostro ristorante compravamo verdura, vino, olio e frutta dalla zona colpita, poiché rappresenta una regione molto ricca dal punto di vista agricolo. Ora è importante iniziare a pensare al futuro di queste persone: non possono lasciare i loro villaggi e i loro campi, perché in questo modo rischiamo di perdere parte della biodiversità del nostro territorio. Dobbiamo prenderci cura della natura. Il nostro scopo, adesso e negli anni a venire, è aiutarli a restare, dando loro sostegno economico e psicologico. Ci sono troppi orfani che meritano un futuro migliore» ha continuato Sabiha.

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Alle sue parole fanno eco quelle di altri rappresentanti della rete Slow Food: «La zona del terremoto è a 1400 km di distanza da dove ci troviamo noi – spiega Mustafa Alper, responsabile della Condotta Slow Food Ida –. Siamo riusciti a raggiungerla dopo un lungo viaggio e ci siamo messi a lavoro in una cucina organizzata dal nostro comune. Abbiamo portato un po’ di cibo, olio d’oliva, formaggio, bulgur e carburante. Prima di partire, le donne della comunità hanno preparato del pane a lievitazione naturale, che si conserva a lungo, mentre tutti hanno partecipato alla raccolta dei prodotti. 

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La situazione in cui ci troviamo è molto difficile da descrivere. Molte case sono state distrutte o non possono essere abitate, mentre le persone dormono nelle tende e nei loro veicoli. Anche la nostra équipe ha allestito un campo di tende e all’esterno sono state costruite delle stufe a botte come sistema di riscaldamento. Molti non hanno potuto lasciare la città e noi aiutiamo chi non può andarsene, chi lavora qui e chi sta per cedere. Dal giorno del terremoto, molte istituzioni, organizzazioni, enti locali e volontari hanno portato aiuto, anche se manca ancora un coordinamento globale. Ieri ho visto delle donne lavorare nei campi tra le rovine. Stavano piantando semi di ortaggi circondate dai loro figli, cercando di andare avanti e di pensare al futuro anche se avevano appena perso i loro parenti. Molte persone stanno tornando nei loro villaggi in campagna e credo che questo sia davvero importante». 

«Nei villaggi si possono trovare speranza e cibo – continua Mustafa – anche se la città di Hatay, così come la conosciamo, non esiste più. La struttura sociale, culturale ed economica formatasi in decine di migliaia di anni è completamente crollata. I futuri piani di sostegno dovrebbero prendere in considerazione la struttura demografica e l’antica cultura della regione».