La transizione ecologica in agricoltura è l’unica via per salvare le api

Da qualche mese sentiamo solo parlare di ecosistema, della necessità di prendercene cura, dell’opportunità che abbiamo di cambiare strada. L’emergenza che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo, con perdite umane che hanno stravolto la vita di molti di noi, ci chiede oggi di guardare all’ecosistema in modo diverso e forse potremmo proprio ripartire da dove ci eravamo lasciati. L’urgenza di agire per salvare il mondo degli impollinatori, quelli che generalmente racchiudiamo nel mondo delle api. (Per firmare la Ice Salviamo le api e gli agricoltori clicca qui)

© Claudia Del bianco – Paolo Gai

Le api ci hanno insegnato quanto sia vitale la capacità di relazionarsi con i propri simili.

Ogni ape nell’alveare ha un ruolo che è funzionale all’intera famiglia; esce, vola, bottina, poi rientra diligente, ignara forse di avere svolto un lavoro straordinario per l’intera umanità. Dal suo lavoro dipende la produzione delle specie da frutto, degli ortaggi. Ma dipende anche la stessa sopravvivenza di buona parte delle specie spontanee che riescono così a riprodursi grazie a un’impollinazione efficace.

Non possiamo più aspettare. La qualità dell’ambiente in cui produciamo diventa fondamentale per la sopravvivenza di questi insetti straordinari. Il loro sistema nervoso paga un prezzo altissimo in ambienti in cui forte è la pressione antropica dovuta a un modello agricolo industrializzato che fa uso di chimica di sintesi.

© Claudia Del bianco – Paolo Gai

L’uso indiscriminato di pesticidi ed erbicidi ha compromesso la vita delle api con una moria di alveari che nell’ultimo decennio sta mettendo in serio dubbio la possibilità che riescano a svolgere il ruolo ecosistemico che gli è naturale. A questo si aggiunge il cambiamento climatico che rende meno ospitali gli ambienti di vita con anomale temperature e piovosità che disorientano e inibiscono ulteriormente gli insetti.

Oggi si parla sempre più di transizione ecologica in agricoltura, di un nuovo approccio che dovrebbe garantire un consistente rafforzamento delle politiche di sostenibilità per un sistema produttivo che, in una visione globalizzata, industrializzata e utilitaristica, ha invece contribuito a portare il pianeta al collasso.

La strada della transizione ecologica è da molti ritenuta l’unica vera alternativa per provare a mettere a frutto la naturale resilienza dei nostri ambienti naturali.

© Claudia Del bianco – Paolo Gai

Durante il lockdown causato dall’emergenza sanitaria degli ultimi mesi, abbiamo raccolto da più parti testimonianze di un miglioramento delle condizioni di salute dei nostri mari, dei nostri fiumi, dell’aria che respiriamo. A conferma, per chi aveva ancora dei dubbi, che ogni attività del pianeta svolta con noncuranza rispetto agli equilibri vegetali ed animali sta alla base del serio peggioramento delle condizioni dell’ecosistema nel suo complesso. Quale possa essere la nostra risposta oggi non è molto da discutere. È evidente che la ripresa che ci attende deve tener conto di questi aspetti e il cambio di paradigma nel nostro stile di vita, di produzione, di consumo, di gestione della nostra presenza nel pianeta deve essere tangibile e duraturo. Lo stanno chiedendo con forza i cittadini europei proprio parlando di api e impollinatori, consapevoli che il mondo di questi insetti sia una efficace cartina al tornasole del dramma che sta vivendo il nostro ambiente.

Pensare di sostituire questo ruolo con la tecnologia (c’è anche chi immagina piccoli droni per garantire l’impollinazione dei fiori) non è un modo per liberarsi la coscienza e continuare a operare in modo insostenibile.

Gli interventi di limitazione ai principi attivi più dannosi (i cd neonicotinoidi) sono apparsi da subito troppo timidi e di certo non sufficientemente efficaci. Abbiamo bisogno di rafforzare un modello di produzione diverso, sostenibile, che sappia tener conto degli equilibri tra organismi vegetali e animali. Abbiamo bisogno di rafforzare il principio di infrastruttura ecologica (siepi, prati melliferi, ecc.) non limitati a un’imposizione delle misure comunitarie ma finalmente vere componenti culturali del nostro modo di concepire la gestione della produzione agraria che non può perdersi nel nome della globalizzazione e della massimizzazione dei profitti.

È davvero singolare che una serie di eventi significativi come la Strategia Farm to Fork e la Strategia sulla Biodiversità abbiano visto la luce il 20 maggio, nello stesso giorno dedicato a livello internazionale al mondo degli impollinatori. E l’impegno della Commissione è importante: Tra gli obiettivi stabiliti ci sono il ruolo positivo attribuito all’agricoltura biologica, l’impegno alla riduzione del 50% del rischio e della quantità dei pesticidi utilizzati in agricoltura, la volontà sensibilizzare consumatori e imprese di trasformazione, al fine di ridurre spreco alimentare e alimentazione a base di zuccheri, grassi e prodotti di origine animale.

Speriamo davvero questi obiettivi guidino una di scelte in grado di imprimere un cambio di passo verso un mondo più rispettoso di ogni essere vivente. Slow Food è già in movimento verso questo obiettivo: oltre a essere promotrice  della Iniziativa dei cittadini europei “Salviamo api e agricoltori, guidata da Pan Europe,da circa due anni, insieme a Eataly, all’Università di Palermo e ad Arcoiris, ditta sementiera a totale gestione bio, porta avanti il progetto Bee The Future con l’obiettivo di far rinascere aree idonee alla vita delle api in zone agricole compromesse dal punto di vista ambientale. Anche in questo caso, è il coinvolgimento degli agricoltori resistenti a garantire la riuscita di un’iniziativa che oggi conta oltre cento ettari di prati melliferi distribuiti da nord a sud con l’obiettivo di rafforzare il ruolo che questo approccio virtuoso può giocare nel miglioramento degli habitat e nella conservazione del patrimonio apistico di tutto il Mediterraneo.

Francesco Sottile
f.sottile@slowfood.it