«Gli organismi sono davvero soltanto algoritmi, e la vita è soltanto elaborazione di dati?
Che cos’è più importante: l’intelligenza o la consapevolezza?
Che cosa accadrà alla società, alla politica e alla vita quotidiana quando algoritmi non coscienti, ma dotati di grande intelligenza ci conosceranno più a fondo di quanto noi conosciamo noi stessi?».
Yuval Noah Harari, Homo Deus
Se la storia ci induce, oltre ad approfondire la concatenazione degli eventi, e ad aiutarci a interpretarli, anche a porre le domande corrette, allora può diventare un best seller. È il caso di uno dei saggi che ho finito di leggere in questo periodo: Homo Deus – Breve storia del futuro (2016*, 7 milioni di copie), il secondo capitolo della storia scritta da Yuval Noah Harari, preceduto da Sapiens – Da animali a dèi – Breve storia dell’umanità (2014, 13 milioni di copie) e seguito da 21 lezioni per il XXI secolo (2018, 3 milioni di copie).
Ognuno di essi si concentra sulle questioni chiave che, secondo l’autore, dovremmo porci per capire come la specie umana si sia sviluppata fino ad acquisire un ruolo di preminenza (o presunta tale) sul pianeta e su quali siano i suoi punti di forza e le principali fragilità (questo è il passato); su quali ambizioni potrebbero spingerla fino a elevarsi al rango di divinità e sui principali incubi che daranno forma al XXI secolo (questo è il futuro); sulle principali questioni a cui, adesso, dovremmo prestare attenzione, le principali sfide che ci attendono (questo è il presente).
HOMO DEUS È ANCORA ATTUALE?
Come sto facendo con tutti i saggi che scelgo di leggere in questo tempo sospeso, il tentativo è di leggerli nella prospettiva di questi giorni, guardando se, oltre alle domande che pongono, vi si possa rintracciare anche qualche risposta utile a comprendere meglio il tempo che stiamo vivendo, collocandolo nella giusta prospettiva.
Non a caso, Harari è stato più volte interrogato, in questi giorni. Un articolo estremamente dettagliato è stato pubblicato sul Financial Times, e si focalizza su grandi temi che la pandemia ha sollevato: la tecnologia, la sorveglianza, la privacy e la fiducia, la cooperazione globale e i nazionalismi. Sono tutti argomenti sui quali dovremmo interrogarci con urgenza, ben consapevoli che le nostre azioni avranno conseguenze a lungo termine, non limitate pertanto alla gestione di questa pandemia. Che, in altri termini, quando ne usciremo – perché ne usciremo, come dicono in molti – ci troveremo a vivere in un mondo diverso, dove decisioni prese per gestire l’emergenza avranno una coda lunga che condizionerà il nostro vivere in futuro.
Il mondo diverso è appunto il tema di Homo Deus, per quanto alcune delle premesse dell’opera necessitino oggi di un aggiornamento – o così sembra. «Tuttavia, all’alba del III millennio, il risveglio dell’umanità è accompagnato da una stupefacente constatazione. La maggior parte delle persone di rado ci riflette, ma da qualche decennio siamo riusciti a tenere sotto controllo carestie, pestilenze e guerre». Questa affermazione, contenuta nella primissima pagina del lavoro di Harari, a molti sembrerà radicalmente da rivedere. Perché il Coronavirus, che in pochissimo tempo è stato così bravo da imporsi come la più grave crisi del nostro tempo, smentisce apertamente l’abilità del genere umano nell’avere sconfitto le pestilenze.
Eppure, a ben guardare, per quanto sia ancora presto per affermarlo con certezza – perlomeno agli occhi non esperti, come i miei, per esempio – siamo in una situazione radicalmente diversa rispetto a quella dei nostri antenati lontani, o anche solo dei nostri nonni, quando le pandemie avevano il potere di sterminare una larghissima parte della popolazione (un esempio? L’influenza spagnola, che colpì un terzo della popolazione mondiale, causò la morte di 50-100 milioni di persone in un anno, mentre la prima guerra mondiale che le fu contemporanea ne uccise “appena” 40 milioni, tra il 1914 e il 1918). Le pandemie odierne hanno straordinari vantaggi rispetto a quelle del passato, perché possono avvantaggiarsi della crescita demografica e dei miglioramenti nei trasporti – in altre parole, i virus contemporanei hanno un banchetto molto più nutrito di cui approfittare, oltreché numerosissime e velocissime possibilità di farsi dare un passaggio. Allo stesso tempo, però, hanno a che fare con un avversario molto più preparato, che dalla sua ha conoscenze sempre più vaste e approfondite che può mettere in campo per produrre cure e trattamenti efficaci.
Non solo. Oltreché nella corsa alla cura più appropriata, la tecnologia può risultare utilissima, come sta già facendo in Corea del Sud, per esempio, per descrivere il contagio e la sua diffusione, e per aiutarci a circoscriverlo, nel modo più preciso possibile. Gli ultimi capitoli di Homo Deus, dedicati alla “grande separazione” (fra intelligenza e coscienza, tra algoritmi e umani) e all’“oceano della coscienza” danno un senso di vertigine, e forniscono una serie di esempi estremamente significativi, che ci raccontano come siamo ormai immersi in un mondo in cui le invenzioni tecnologiche possono offrirci soluzioni impensabili fino a qualche decennio fa, ma al contempo costituiscono una minaccia per la nostra specie, o se non altro un invito sempre più concreto e pressante a ripensare il nostro ruolo sul pianeta. Vi invito a scorrerle, perché sono al contempo interessantissime e inquietanti.
I CONFLITTI DEL XXI SECOLO
Come in tutti i secoli addietro, anche il nostro ci pone sfide importantissime. Nei giorni del virus lo stiamo vedendo: oltre al sistema sanitario, dovremo prenderci in carico un’analisi seria della nostra economia, politica e cultura. E anche capire come costruire delle soluzioni che non siano un semplice “tampone” dell’emergenza ma che abbiano un minimo di lungimiranza, e prevedano un buon livello di collaborazione tra Stati. I rischi di un’emergenza non affrontata bene, oggi, li si potrebbe leggere non in Harari, ma in un romanzo distopico stile 1984, Il racconto dell’ancella o simili: nei totalitarismi, nella gestione delle informazioni, nel crollo della fiducia (da parte dei governi nei confronti dei cittadini, e viceversa), nella perdita della privacy, e della libertà.
A me, di non strettamente attinente alla vicenda Coronavirus, restano alcune delle indicazioni finali del libro:
«Il mondo sta cambiando in modo più veloce che mai, e noi siamo sommersi da quantitativi impossibili di dati, di idee, di promesse e di minacce. Gli umani stanno cedendo autorità al libero mercato, alla saggezza delle masse e agli algoritmi esterni in parte perché non possiamo più affrontare il diluvio di dati. In passato, la censura operava bloccando il flusso delle informazioni. Nel XXI secolo la censura opera inondando la gente di informazioni irrilevanti. Noi proprio non sappiamo a che cosa prestare attenzione, e spesso perdiamo il nostro tempo a indagare e a discutere su questioni marginali. Nei tempi antichi deteneva il potere chi aveva accesso alle informazioni. Oggi avere potere significa sapere cosa ignorare. Quindi, considerando tutto quello che sta accadendo nel nostro mondo caotico, su che cosa dovremmo concentrarci?».
Ecco, questa – e non solo – è una delle tante domande che un saggio storico può stimolarci, ed è uno dei motivi per cui la storia dovremmo abituarci a conoscerla un po’ di più.
di Silvia Ceriani, s.ceriani@slowfood.it
* Gli anni indicati tra parentesi si riferiscono alle edizioni in lingua inglese delle opere. Le traduzioni delle edizioni rivedute e aggiornate in italiano sono tutte pubblicate da Bompiani, nel 2018 e 2019.