Il popolo Sateré Mawé premiato con il “Nobel Verde” di United Earth

Il Premio united earth amazonia è stato creato dalla famiglia Nobel sulle orme del Premio Nobel per la pace per creare sempre maggiore consapevolezza nell’opinione pubblica riguardo alla necessità di unire i popoli e le nazioni della Terra nella costruzione di un futuro collettivo e sostenibile.

La prima cerimonia di assegnazione del Premio (conosciuto anche come Nobel verde) si è tenuta qualche giorno fa nella capitale dello Stato brasiliano di Amazonas, Manaus. Una regione che, secondo le stime Onu, ospita 90 nazioni diverse di popoli indigeni per un totale di 476 milioni di persone, ognuna con la sua lingua, la sua cultura, il suo territorio. Tra loro, circa 150 milioni vivono in società tribali.

I popoli indigeni sono i maggiori custodi della biodiversità mondiale e questo è particolarmente vero nel contesto brasiliano, dove si conservano le parti più incontaminate della foresta pluviale del mondo. La lotta per proteggere le terre indigene dalle attività minerarie e di disboscamento illegali nella regione è stata brutale e sanguinosa specialmente negli ultimi anni del governo di Jair Bolsonaro, in cui la pandemia fu usata come paravento per continuare le attività illegali di deforestazione e accaparramento di terre.

L’Amazzonia simbolo della lotta per la biodiversità

L’Amazzonia è diventata il simbolo mondiale della lotta per la difesa della biodiversità: le sue foreste e savane, con i fiumi che le attraversano, ospitano più del 10% delle specie selvatiche conosciute al mondo, la più grande ricchezza di qualsiasi altro ecosistema e svolgono un ruolo fondamentale nella stabilizzazione del clima globale, in quanto trattengono il carbonio intrappolato e definiscono i modelli meteorologici. Eppure, questo essenziale polmone del pianeta, nonostante la lotta di popoli indigeni e ambientalisti, soffre costantemente di una massiccia deforestazione che mette in pericolo la biodiversità del suo bioma e che costituisce una minaccia globale per la sopravvivenza dell’umanità.

Non è un caso quindi che per la sua prima edizione il Premio United Earth Amazonia sia stato assegnato ai Sateré Mawé, la cui comunità (14.000 persone distribuite in circa 120 villaggi) ha lottato per la sopravvivenza culturale e fisica e per promuovere la propria sovranità alimentare in una regione di 8000 km quadrati intorno alle sorgenti dei fiumi Andirá e Márau. Il premio è stato ritirato da Obadias Batista Garcia, leader indigeno che ha iniziato il progetto di economia sostenibile legata al waranà.

Supportare le comunità indigene e i loro sistemi alimentari tradizionali significa preservare la biodiversità mondiale. Nel caso dei Sateré Mawé, Obadias e altri leader comunitari si sono uniti al movimento Slow Food nel lontano 2002, quando è stato istituito il Presidio del waranà nativo per proteggere e valorizzare un seme dall’elevato valore culturale e un intero territorio.

Sateré Mawé Nobel indigeno
Presidio Slow Food del waranà nativo, Brasile ©Archivio Slow Food

Nella foresta, i Sateré-Mawé raccolgono i semi caduti ai piedi delle madri del waranà, liane selvatiche alte fino a 12 metri, trapiantando in radure, crescendo  a cespuglio e rendendo  produttive le piante così ottenute. Dai semi, ricchi di fosforo, magnesio, potassio, vitamine e tannino, le procedure tradizionali del popolo Sateré Mawé ottengono un estratto che combatte la fatica e stimola funzioni cognitive e memoria. Un integratore ormai ben conosciuto, commercializzato nel Paesi del Nord Globale. Spinta dal business, l’industria agroalimentare cominciò a imporre a molti contadini, nelle produzioni esterne alla terra indigena, l’uso di cultivar ottenute mediante clonazione. 

Un Consorzio per la causa indigena

Per gestire in modo rispettoso e sostenibile il mercato nacque allora il Consorzio dei Produttori Sateré-Mawé (CPSM), che, a sua volta, fa parte del Consiglio generale della Tribù Sateré-Mawé (Cgtsm), il più grande organo di rappresentanza politica di questo popolo. Il CPSM si occupa della gestione, del controllo e della commercializzazione del waraná em bastão (pane di waraná) e in polvere e rappresenta i produttori di Sateré-Mawé in eventi nazionali e internazionali e difende la causa indigena in diversi contesti politici.

Un ruolo essenziale nell’impollinazione della pianta del waranà è svolto dall’ape canudo (Scaptotrigona xantothrica), in lingua indigena “Awi’a sese” ovvero “ape per eccellenza”, diventata anch’essa un Presidio Slow Food per la stretta connessione ecologica con il waranà e con l’ecosistema. Un’ape molto resistente che offre un miele straordinario, dal gusto potente e selvatico. La connessione del popolo Sateré-Mawé con le api selvatiche senza pungiglione risale al periodo precolombiano. Secondo una leggenda popolare, quando Anumaré Hit salì in cielo, trasformato in sole, invitò la sorella Uniawamoni a seguirlo. La donna tentennò, ma poi scelse di restare sulla terra sotto forma di ape per prendersi cura, con i Sateré-Mawé, delle foreste sacre del guaranà. Questo mito tramanda quel che gli antichi Mawé già sapevano e che oggi riscopriamo, cioè che

le api selvatiche senza pungiglione sono responsabili dell’impollinazione dell’80% delle specie vegetali dell’Amazzonia. Senza di loro, la foresta scomparirebbe.

Sateré Mawé Nobel indigeno
Presidio Slow Food del waranà nativo, Brasile ©Archivio Slow Food

Una banca genetica unica al mondo

Nel 2020 il waranà dei Sateré Mawé ottenne la Denominazione di origine brasiliana. «Ottenere la Denominazione di origine significa certificare che il prodotto, con quelle determinate caratteristiche legate a fattori umani e naturali, esiste solo in quella determinata area geografica» spiegava in quell’occasione Maurizio Fraboni, socioeconomista dello sviluppo che da decenni anni lavora al fianco dei Sateré-Mawé. «Nel caso del waranà c’è però molto di più: il bacino idrografico formato dal corso dei fiumi Andirá e Marau è la banca genetica in sito del guaraná, l’unica al mondo. Un santuario ecologico e culturale costruito nel corso dei secoli».

Sul popolo dei Sateré Mawé è stato realizzato il documentario Custodi del sapere di Francesco Magistrali, nella veste di interlocutore tra i locali e gli spettatori, con il filmmaker Marco Giometti, sono stati accolti nella profonda Amazzonia Brasiliana dai figli del Guaranà, per registrare i loro racconti, i loro saperi, le loro storie personali. «Abbiamo scelto questa zona del mondo e questo popolo per tanti motivi» dice Enrica Agosti, delegata di Slow Food Lombardia, patrocinante del documentario. «Uno di questi è sicuramente che i Sateré rappresentano un concreto e attuale modello ed esempio di economia locale, identitaria e virtuosa, nel segno dell’equilibrio tra la cultura tradizionale, la natura e le innovazioni che portano le nuove generazioni, saranno eredi e protagoniste di questi processi».

di Paola Nano, p.nano@slowfood.it


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