Foreste: difendiamo quello scrigno di biodiversità che ci garantisce la vita

Il 21 marzo non deve essere un necrologio ma il giorno in cui ricordare l’importanza di questo ecosistema per il pianeta

 

Foreste e cibo sono intimamente collegate nella storia delle comunità umane. Le foreste sono state per gran parte dell’avventura della specie Homo sapiens sapiens, la dispensa primaria per poter soddisfare i bisogni alimentari.

In Kenya, gli Ogiek, una delle più antiche tribù locali, vivono grazie alle risorse naturali della foresta di Mau: sono cacciatori e raccoglitori, e la loro attività principale è l’apicoltura. Presidio Slow Food dei Miele degli Ogiek © rootsofafrika.co

 

Foresta e cibo

Ma le foreste tuttora rappresentano, in modo diretto e indiretto, la componente ecologica più importante per l’alimentazione umana. Non lo sono più per l’erogazione diretta di prodotti alimentari, o almeno non per tutti. Ma lo sono per la qualità del cibo grazie alla loro biodiversità. Le foreste ospitano la stragrande maggioranza di impollinatori che garantiscono poi la produzione di semi, frutti e piante coltivate. Sono determinanti per la conservazione dell’acqua. Gli ecosistemi forestali sono un filtro incredibile, un vero e proprio laboratorio di depurazione che restituisce alle fonti acqua di qualità alla base di qualsiasi catena alimentare. Sono fondamentali per l’alimentazione perché miliardi di persone al mondo usano il legno come fonte energetica per la cottura del cibo e la bollitura dell’acqua. Le foreste tutt’ora erogano moltissime risorse alimentari.

In Europa ci dimentichiamo spesso di questo aspetto, anche se adoriamo i funghi, veneriamo i tartufi, amiamo le castagne, e ci assicuriamo che nella nostra dispensa ci sia sempre un vasetto di pesto alla genovese la cui base sono i pinoli prodotti dal pino domestico.

Ma in tantissimi paesi del mondo la foresta è tutt’ora una fonte primaria di cibo oltre che di legno e acqua per la filiera alimentare.

La foresta di Harenna è una delle più grandi dell’Etiopia. Qui, intorno ai 1800 metri di altitudine, cresce spontaneamente all’ombra di alberi ad alto fusto, un caffè arabica straordinario. I contadini vivono grazie alla vendita del caffè, che costituisce la principale fonte di reddito. Presidio Slow Food del caffè selvatico della foresta di Harenna © Paola Viesi

 

Deforestazione

Le foreste coprono, oggi, il 31% delle terre emerse del pianeta (Fao 2020). Alla fine dell’‘800 questa cifra era tra il 48 e il 50%: negli ultimi 120 anni il pianeta ha perso poco più del doppio delle foreste rispetto a quanto accaduto nei 10.000 anni precedenti. Il tasso di deforestazione è calato notevolmente negli ultimi 30 anni: da 7,8 milioni di ettari all’anno in media nel decennio 1990-2000, a 4,7 milioni di ettari nel decennio 2010-2020. Sembra positivo, ma lo è veramente? Sono cifre aride che non raccontano, ad esempio, che, nonostante il rallentamento, l’inversione di tendenza è ancora lontana: deforestazione e degradazione delle foreste continuano a procedere a ritmi allarmanti: il pianeta continua a perdere biodiversità ed ecosistemi complessi e sani.

Il mondo ha perso 178 milioni di ettari di foreste dal 1990: sei “Italie” sono state trasformate in qualcosa che foresta non è e non lo sarà più.

L’espansione agricola continua a essere il principale motore della deforestazione, del degrado delle foreste e della conseguente perdita di biodiversità forestale.

Italia, la foresta di abete bianco e faggio del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, Appennino tosco-romagnolo. @ G. Locatelli

Agricoltura, principale responsabile della deforestazione

L’agricoltura commerciale su larga scala (principalmente allevamento di bestiame, coltivazione di soia e palma da olio) ha rappresentato il 40% della deforestazione tropicale tra il 2000 e il 2020. Ma oltre ai grandi prodotti industriali vi sono altre produzioni di cibo che influiscono in modo diretto o indiretto sui sistemi forestali: la filiera produttiva dei prodotti lattiero-caseari, il cacao o il caffè. Poi vi è la produzione industriale di legname, della pelle; ci sono gli incendi reiterati su grandi superfici, il consumo di suolo dovuto all’espansione urbana, industriale e infrastrutturale. Tante minacce e spesso ben poca consapevolezza in ciò che tutti i giorni facciamo, mangiamo, consumiamo.

Relazione tra foresta e uomo

Il 21 marzo celebriamo il giorno internazionale delle foreste e non è un necrologio il modo migliore per ricordare a tutti, a partire da noi stessi, quale sia l’importanza delle foreste per il pianeta.

Nella Chontalpa, dove si concentra la produzione di cacao in Messico, alti alberi da frutta (come il cocco, l’avocado, il mango, il cedro o il mamey) sovrastano le piante del cacao producendo l’ombra a loro necessaria, mentre nel sottobosco sono coltivati banani, papaya, zucche e peperoncini. Presidio Slow Food del Cacao della Chontalpa © Luca Rinaldini

 

Celebrare il giorno internazionale delle foreste vuol dire guardare con passione e attenzione alle relazioni che foreste e cibo, da sempre, hanno. Stigmatizzare le relazioni problematiche e valorizzare le interazioni positive. Perché la storia infinita delle relazioni fra uomo e foresta, e quindi la nostra stessa storia di specie umana, possa continuare e migliorare. Sempre.

Fabio Salbitano

Fondazione AlberItalia

La Fondazione AlberItalia nasce dalla volontà di Slow Food Italia, della Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale (S.I.S.E.F.) e di Romagna Acque – Società delle Fonti, con il sostegno della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e della Romagna per aumentare il numero di alberi nella nostra penisola, in alcuni casi piantarli, ma anche curarli, gestirli, monitorarli e contarli. L’obiettivo è contribuire a contrastare la crisi climatica e il crescente inquinamento atmosferico che avvelena il pianeta.

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