Cibo e salute
Dieta, qualità del cibo e stili di vita giocano un ruolo determinante per la nostra salute.
Il sistema di produzione globale del cibo si basa su un’agricoltura intensiva che prevede l’impiego di pesticidi e fertilizzanti di sintesi per la produzione di alimenti processati e ad alto contenuto calorico, ricchi di additivi, conservanti, zuccheri e grassi saturi. Questa situazione crea squilibrio nelle dinamiche ambientali, economiche e sociali, specialmente nei paesi più deboli, generando numerosi problemi di salute pubblica, come obesità e malnutrizione.
Slow Food lavora per promuovere modelli di produzione, trasformazione e consumo il più possibile sostenibili e sani sia per la salute individuale sia per il pianeta.
Nell’immaginario comune una dieta sana si associa spesso a privazione, restrizione calorica e monotonia. In realtà uno stile alimentare può essere sano e allo stesso tempo piacevole.
Il cibo che fa bene a noi fa bene anche all’ambiente e alla comunità.
Ma come si può mangiare bene tutti i giorni? Non dobbiamo inventarci nulla di nuovo: attingiamo alle nostre ricchissime tradizioni gastronomiche, perché mangiare è un piacere, oltre che una necessità!
Come stiamo?
Le abitudini alimentari, la qualità del cibo e lo stile di vita determinano il nostro stato di salute e influenzano la nostra aspettativa di vita.
Nel mondo sono diffuse tre forme di malnutrizione: per difetto (denutrizione), per eccesso (sovrappeso) o per abitudini inadeguate (carenza di micronutrienti).

Le persone obese e in sovrappeso hanno almeno il doppio del rischio di sviluppare malattie cardiache, cancro e diabete, le cosiddette malattie non trasmissibili (MNT). Secondo l’OMS, in tutto il mondo il sovrappeso e l’obesità causano più decessi che il sottopeso e questo fenomeno colpisce prevalentemente le fasce più povere della società, in tutti i Paesi.
Malattie cardiache, cancro e diabete causano 41 milioni di morti ogni anno, pari al 71% di tutti i decessi nel mondo.

Nel mondo l’aspettativa di vita media è cresciuta dai 52 anni nel 1960 ai 72 di oggi, ma esistono evidenti differenze tra i Paesi del mondo.
La povertà è un fattore determinante: in generale, se si è ricchi la vita media è di circa 80 anni, se si è poveri si riduce a 63 anni.
Ma se la vita si allunga, la salute si accorcia.
In Europa, gli ultimi 10 anni di vita sono segnati da malattia o disabilità (Fonte: Eurostat).
I sistemi industriali alimentari e agricoli stanno facendo ammalare le persone in vari modi, generando costi umani ed economici sconcertanti.
La Resistenza antimicrobica (AMR) secondo l’OMS è la capacità di un batterio, un virus, un parassita, di impedire a un farmaco antimicrobico (un antibiotico, un antivirale e alcuni antimalarici) di agire contro di esso. Come conseguenza a questa capacità di neutralizzare il farmaco, i trattamenti standard diventano inefficaci, le infezioni persistono e possono diffondersi.
Ogni anno nel mondo muoiono 700 mila persone per infezioni batteriche che gli antibiotici non riescono più a curare. In Europa il conteggio più recente parla di 33mila morti l’anno. L’Italia è maglia nera, con un bilancio di 10 mila decessi (dati del Centro Europeo per il Controllo delle Malattie (Ecdc) pubblicati su Lancet Infectious Diseases).
Gran parte della responsabilità per questa emergenza sanitaria nel mondo va al cattivo uso e abuso che di questi farmaci – fondamentale strumento per la loro efficacia nel combattere le infezioni – si fa nella medicina umana e nell’allevamento degli animali, spesso sotto antibiotici durante tutta la loro vita. La resistenza agli antimicrobici vanifica l’efficacia dei trattamenti contro alcuni batteri molto pericolosi, pertanto ottimizzare l’uso degli antibiotici sia nella medicina umana che nella zootecnia contribuisce a rallentarne l’insorgenza e la diffusione. Gli antibiotici infatti entrano nella catena alimentare.
I microbi resistenti agli antimicrobici si trovano nelle persone, negli animali, negli alimenti e nell’ambiente (nell’acqua, nel suolo e nell’aria). Possono diffondersi tra persone e animali, da alimenti di origine animale e da persona a persona, attraverso il contatto diretto tra gli animali e l’uomo, o attraverso la catena alimentare e l’ambiente.
In alcuni paesi, circa l’80% del consumo totale di antibiotici si verifica nel settore animale, una quantità che arriva ad essere 4 volte quella utilizzata in media nell’uomo. Una tale diffusione si spiega perché spesso negli allevamenti gli antibiotici servono per la promozione della crescita e la prevenzione delle malattie, non per curare gli animali malati. Questa pratica contribuisce allo sviluppo di batteri resistenti, in particolare negli ambienti di produzione intensiva.
Il modo più efficace per prevenire la trasmissione di batteri resistenti agli antimicrobici dagli animali all’uomo è prevenire la comparsa e la diffusione di batteri resistenti negli animali che utilizziamo come cibo. Gli antibiotici non dovrebbero essere utilizzati come strumento di prevenzione in assenza di malattie. Generalmente, la pratica di somministrare antibiotici per prevenire la diffusione di batteri nocivi negli allevamenti è diffusa quando gli animali sono tenuti in uno spazio affollato, al chiuso. Anche l’impossibilità di esprimere il loro comportamento naturale causa stress e di conseguenza un sistema immunitario più debole. Qui il documento di posizione di Slow Food sul benessere animale.
Negli allevamenti animali, l’attenzione al benessere e il rispetto dei comportamenti naturali ha un ruolo importante per mantenere buone condizioni di salute, e di conseguenza evitare la somministrazione di antibiotici che entrano poi nella catena alimentare umana e contaminano terreni e falde acquifere attraverso i liquami. La maggior parte degli antibiotici utilizzati in allevamenti industriali servono ad arginare patologie generate da tecniche intensive di allevamento, ossia patologie indotte da eccessi dovuti a una alimentazione scorretta, a spazi etologicamente insufficienti, a una selezione genetica improntata sulla resa produttiva e non sulla resistenza. L’utilizzo di antibiotici negli allevamenti industriali si sta rilevando estremamente pericoloso per la salute globale in quanto ambiente, animali e persone sono inestricabilmente connessi.
Per seguire una dieta sana Slow Food raccomanda a tutti di mangiare meno carne, ma di migliore qualità. Sicuramente uno degli aspetti fondamentali della qualità riguarda la tipologia di allevamento. Nel caso si acquisti carne da allevamenti industriali, meglio optare per linee “antibiotic-free”.
Per saperne di più, visita la sezione Slow Meat
La buona notizia è che la maggior parte delle malattie che colpiscono la popolazione mondiale, compresi i tumori, possono spesso essere prevenute attraverso la dieta e lo stile di vita.
L’eccessivo consumo di zucchero, cereali raffinati, grassi saturi e alimenti altamente trasformati riduce l’aspettativa di vita. Limitare il consumo di cibo processato, evitare bevande zuccherate e consumare sale con moderazione può essere un modo per mantenersi in buona salute.
Il consumo di prodotti di origine animale (carni fresche ma anche trasformate) è inoltre eccessivo in moltissimi Paesi e, complessivamente, si è quintuplicato negli ultimi settant’anni. È necessario ridimensionare i consumi di alimenti di origine animale e aumentare quelli di origine vegetale: verdura e frutta in abbondanza, cereali integrali, legumi e semi oleosi, il tutto condito da grassi salutari, prevalentemente vegetali.
Come sta il pianeta?
La salute del pianeta è fortemente compromessa: i sintomi più evidenti sono la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico. Il sistema di produzione del cibo ha un ruolo determinante.
Il modello agroalimentare industriale che si è affermato negli ultimi 70 anni per aumentare la produttività ha un impatto ambientale e sociale devastante: inquinamento delle falde, dei terreni e dell’atmosfera, riduzione della fertilità ed erosione dei suoli, danni al paesaggio, abbandono delle terre marginali, e una complessiva perdita della diversità, sia biologica sia culturale.
Negli ultimi 70 anni abbiamo distrutto i tre quarti dell’agrobiodiversità che i contadini avevano selezionato nei 10.000 anni precedenti. Poche multinazionali hanno preso il controllo del cibo, brevettando semi ibridi, fertilizzanti, pesticidi e diserbanti.
Nel 2019 la Fao ha pubblicato il primo rapporto sullo stato della biodiversità mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura. Secondo questo studio il collasso dell’intero sistema di produzione alimentare è inevitabile se non invertiamo lo stato delle cose entro 10 anni (Fonti: FAO, The state of the world’s biodiversity for food and agriculture, 2019 e IPBES, Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services, 2019).
Dall’era preindustriale la temperatura media della superficie terrestre è salita di 1,5°C. Se non si interviene, a fine secolo la temperatura media potrebbe salire di 5°C: una febbre altissima per il pianeta. Oltre, le temperature non saranno compatibili con la vita sulla Terra.
Il surriscaldamento del pianeta provoca:
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Aumento della temperatura degli oceani e del livello dei mari e scioglimento dei ghiacci dell’Artico |
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Acidificazione degli oceani |
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Aumento degli eventi climatici estremi: siccità, inondazioni, mareggiate, incendi, tempeste… |
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Aumento delle migrazioni: oggi i profughi climatici sono 25 milioni l’anno, ma potrebbero diventare un miliardo nei prossimi 40 anni. |
Una dieta sana è anche amica del clima
Le nostre scelte alimentari quotidiane hanno un impatto sulla nostra salute, ma anche sul clima: scegliere più vegetali e legumi e ridurre la carne e i cibi industriali comporta infatti un notevole risparmio di emissioni di CO2.