FOCUS SUOLO: «Conserviamo il suolo per salvare l’aria»

111993_1È in discussione alla Camera il disegno di legge sul “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato” noto anche come “salva suoli”: da anni il forum Salviamo il Paesaggio (di cui Slow Food Italia fa parte) lavora per arrivare a un testo legislativo davvero risolutivo su questa emergenza, lanciando appelli e iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni in modo da fermare definitivamente il consumo di suolo libero nel nostro Paese. Eppure, nonostante questi sforzi, il testo inviato alla Camera è ben lontano dall’essere davvero efficace e sembra che le istituzioni non abbiano inteso la gravità della situazione.

Per questo abbiamo chiesto a studiosi ed esperti perché tutelare il suolo è così importante.

Ecco la nostra intervista a Michele Munafò, istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra).

Perché dobbiamo preoccuparci di tutelare il suolo?

Il consumo di suolo comporta una profonda alterazione dei cicli naturali. Questo rende critica la condizione di disponibilità di questa risorsa naturale che è, inoltre, limitata e sostanzialmente non rinnovabile, a causa dei tempi estremamente lunghi di ripristino e di formazione. Il deterioramento del suolo ha ripercussioni dirette sulla qualità delle acque e dell’aria, sulla biodiversità e sui cambiamenti climatici, sulla sicurezza dei prodotti destinati all’alimentazione umana e animale e incide direttamente sulla salute dei cittadini.
Un suolo in condizioni naturali fornisce, infatti, al genere umano i servizi ecosistemici necessari al proprio sostentamento: servizi di approvvigionamento (prodotti alimentari e biomassa, materie prime, etc.); servizi di regolazione (regolazione del clima, cattura e stoccaggio del carbonio, controllo dell’erosione e dei nutrienti, regolazione della qualità dell’acqua, protezione e mitigazione dei fenomeni idrologici estremi, etc.); servizi di supporto (supporto fisico, decomposizione e mineralizzazione di materia organica, habitat delle specie, conservazione della biodiversità, etc.) e servizi culturali (servizi ricreativi, paesaggio, patrimonio naturale, etc.).
Ad esempio, riducendo l’assorbimento di pioggia con le nuove edificazioni, si avranno una serie di effetti diretti sul ciclo idrologico, producendo un aumento del rischio di inondazioni con l’aumento dei fenomeni alluvionali ed erosivi. Questo anche in considerazione del possibile aumento dei fenomeni meteorologici estremi e agli effetti dei cambiamenti climatici. Ma il suolo costituisce anche una riserva di carbonio (si stima che il 20% delle emissioni di CO2 dell’uomo siano catturate dal suolo, e il carbonio nel suolo è pari a 3 volte quello in atmosfera). Negli ultimi 5 anni, a causa del consumo, c’è stata una riduzione dello stock di carbonio nel suolo di 5 milioni di tonnellate, pari a una emissione di CO2 in atmosfera potenzialmente pari a 18 milioni di tonnellate. È come se oggi ci fossero 4 milioni di auto in più circolanti in Italia.

Come possibile migliorare il disegno di legge?

Il testo attualmente in discussione ha sicuramente molti elementi positivi e innovativi, ma contiene alcuni punti critici, che ritengo possano essere migliorati. Tra questi, oggetto tra l’altro di ampia discussione, ci sono le definizioni di consumo di suolo, di impermeabilizzazione e di superficie agricola, riportate all’articolo 2 del Ddl. Definizioni errate possono, infatti, cambiare in maniera sostanziale gli indirizzi del testo e ridurre notevolmente l’efficacia della norma, anche ai fini della reale sostenibilità delle attività di monitoraggio.
Per quanto riguarda la definizione di consumo di suolo, viene giustamente chiarito che il consumo di suolo avviene in aree agricole, naturali e seminaturali. Il problema è che, da queste ultime, sono escluse «le superfici destinate a servizi di pubblica utilità di livello generale e locale previsti dagli strumenti urbanistici vigenti per le aree destinate a infrastrutture e insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale per i quali è comunque obbligatorio che i progetti prevedano interventi di compensazione ambientale di entità equivalente, nonché per i lotti e gli spazi inedificati interclusi già dotati di opere di urbanizzazione primaria e destinati prevalentemente a interventi di riuso e di rigenerazione». Il fatto di introdurre tali eccezioni a livello di definizione comporta, da un lato, un’enorme difficoltà (a oggi direi impossibilità) nel monitoraggio del consumo di suolo, perché di fatto non esistono i dati su tali eccezioni, dall’altro lato, la necessità, per il nostro Paese, di mantenere un doppio sistema di monitoraggio e di contabilizzazione del consumo di suolo (uno per la legge italiana, uno per l’Unione europea che dà una definizione diversa), con dati non coerenti tra loro.
Anche nella definizione di impermeabilizzazione del suolo sono introdotte ulteriori eccezioni, escludendo dal consumo di suolo tutti gli interventi connessi con l’attività agricola. È una deroga ampia, troppo generica, che si presta a interpretazioni molto estese. Un nuovo capannone su area agricola, destinato a deposito o lavorazione di prodotti agricoli, non sarebbe considerato consumo di suolo. Così come nuovi edifici destinati ad agriturismo, o capannoni per attrezzi e mezzi agricoli, o infrastrutture viarie per l’accesso alle aree agricole, e così via. Inoltre, in tal modo, basterebbe un semplice cambio di tipologia di un fabbricato esistente (ad esempio da albergo ad agriturismo o da deposito di materiale generico a ricovero per attrezzature agricole), per far sì che tale area risulti non impermeabilizzata e, quindi, ridurre di conseguenza il consumo di suolo con il risultato che, nel bilancio annuale complessivo, si possano avere a disposizione altre superfici agricole da edificare mantenendo nullo il consumo di suolo.

In generale, quindi, ritengo che sia opportuno lasciare le definizioni quanto più possibili corrette dal punto di vista tecnico e coerenti con quanto definito a livello europeo, eliminando le eccezioni o, se proprio non si possono eliminare, introducendole non nelle definizioni, ma come deroga in fase di applicazione dei limiti al consumo di suolo previsti all’art. 3.

È vero che tutelare il suolo vuol dire mandare in crisi il settore edilizio?

Tutelare il suolo vuol dire riorientare il settore edilizio, non mandarlo in crisi. Il nostro Paese ha un patrimonio edilizio immenso, spesso sotto utilizzato. Non è necessario costruire ai tassi a cui abbiamo assistito nel passato ma operare per una riqualificazione dell’esistente.
Il futuro dell’edilizia non è, quindi, legato a un ulteriore consumo di suolo, ma al riuso e alla rigenerazione del patrimonio esistente e delle nostre città, al risparmio energetico, alla sicurezza antisismica. Queste sono le chiavi per la ripresa dell’edilizia, legandola alla qualità dell’abitare e delle nostre città, alla nostra sicurezza e alla riduzione dell’impatto sull’ambiente.

A cura di Michela Marchi
m.marchi@slowfood.it