Buone notizie per gli oceani: un nuovo accordo proteggerà le acque internazionali (e i profitti?)

Più di 190 Paesi hanno raggiunto un accordo storico per la protezione della biodiversità degli oceani del mondo, concordando per la prima volta un quadro comune per la creazione di nuove aree protette nelle acque internazionali. Ma sarà sufficiente a ripristinare le aree marine a rischio?

Finora, a 370 chilometri (200 miglia) di distanza dalle coste, i mari sono stati terra – e acqua – di nessuno. E purtroppo, se qualcosa non è di nessuno allora è alla mercé di tutti: chiunque ha potuto vantare la libertà di sfruttare le acque e i fondali marini per pescare, navigare e svolgere attività di ricerca ed estrazione mineraria, senza leggi che ponessero limiti.

Un vuoto legislativo importante che, insieme alla nostra fame di profitto, ha portato all’inquinamento e all’acidificazione degli oceani, al degrado degli ecosistemi marini, all’esaurimento delle risorse, e ha messo a rischio molte specie ittiche.

trattato internazionale per gli oceani

Ma qualcosa si muove

Dopo quasi 20 anni di trattative e 38 ore di colloqui, oltre 190 Stati membri delle Nazioni Unite hanno raggiunto un accordo sul primo trattato internazionale per proteggere gli oceani e il mare aperto.

Un patto storico se pensiamo che l’ultimo e unico altro accordo internazionale sul settore, la Convenzione Onu sul Diritto del mare, risale al 1982 ed è entrato in vigore solo nel 1994.

Il nuovo trattato globale mira a salvaguardare la biodiversità e a garantire l’uso sostenibile del 30% delle acque internazionali dell’Alto mare, attraverso l’istituzione di aree protette, entro il 2030. Un bel passo avanti considerando che oggi solo l’1,2% di queste aree è protetto dal punto di vista ambientale.

Che cos’è l’Alto mare?

Il termine alto mare indica la superficie marina che si trova al di fuori della Zona economica esclusiva (Zee) nazionale, e occupa circa due terzi dell’oceano, ovvero metà della superficie del pianeta. Il cosiddetto alto mare svolge un ruolo di primo piano nel sostenere le attività di pesca, fornire habitat a specie cruciali per la salute dell’ecosistema e nel mitigare l’impatto della crisi climatica.

Cosa prevede l’accordo

Il testo dell’accordo è in fase di scrittura ma è certa l’intenzione di tutelare e risanare gli ecosistemi marini attraverso l’imposizione di limiti alla pesca, alle zone in cui possono transitare le navi e alle attività di esplorazione che vi si possono svolgere, come l’estrazione dei minerali dai fondali oceanici. L’accordo prevede poi l’istituzione di una Conferenza (Cop) che si riunirà periodicamente.

Le aree protette non saranno automaticamente delineate dall’accordo ma si prevede un meccanismo che, per la prima volta, consenta alle singole nazioni di designare queste aree nelle acque internazionali. Una mossa che, si spera, permetterà ai Paesi di rispettare le promesse fatte in occasione della Cop15 sulla biodiversità, in cui i delegati si sono impegnati a proteggere quasi un terzo della terra e degli oceani entro il 2030.

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Crisi climatica e altre minacce

Agire è necessario e urgente. La crisi climatica sta rendendo gli oceani meno ospitali per molte specie, aumentando le temperature acquatiche, rendendo i mari più acidi e mettendo a rischio la biodiversità: il 10% delle specie marine è a rischio d’estinzione. Squali, tonni, merluzzi, pesce spada e platesse – solo per citarne alcune – sono minacciati dalla pesca intensiva e le barriere coralline stanno soccombendo all’acidificazione delle acque. Il livello di ossigeno sta diminuendo: dal 1950 abbiamo perso il 2% – 77 miliardi di tonnellate – dell’ossigeno presente nelle acque globali.

Infine, la necessità di minerali che guidano il commercio internazionale porta le aziende a estrarre dal fondale marino senza controllo.

Un trattato sul profitto, più che sul mare

L’accordo è una notizia positiva e indica che l’attenzione globale sta andando nella giusta direzione, ma sarà sufficiente per rimediare agli enormi danni causati da tanti anni di incuria e abuso?

Ci sembra che i 190 Paesi non abbiano colto la questione fondamentale: il mare è un bene comune ma non per forza una fonte di profitto.

Se l’obiettivo è ripristinare la biodiversità e gli ecosistemi, gli oceani non possono essere visti come una risorsa economica a nostra disposizione. Eppure, sembra che questa sia la visione condivisa. Non a caso uno dei maggiori punti critici nei negoziati tra nazioni ricche e povere è stato determinare chi avrebbe beneficiato finanziariamente dello sfruttamento del materiale genetico di piante e animali marini e delle conseguenti scoperte in ambito farmacologico, alimentare e industriale.

I Paesi più poveri e in via di sviluppo non hanno infatti le risorse economiche per esplorare le acque oceaniche a tali scopi. Alla fine, le nazioni più ricche hanno accettato di condividere una parte dei profitti con le economie in via di sviluppo, una “nobile concessione”, ma pur sempre fondata su una visione del mare come risorsa da sfruttare.

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Le stesse motivazioni legate al profitto hanno mosso le decisioni sulla tutela della biomassa ittica in declino: l’accordo propone di realizzare aree protette perché i pesci di queste zone possano poi ripopolare altre aree e permetterci, così, di continuare a mangiare pesce. L’accordo non contempla, invece, l’idea di limitare i consumi di pesce, soprattutto da pesca industriale: l’unica azione che ci sembra sensata in un’ottica di rispetto delle risorse e degli ecosistemi.

Insomma, questo trattato è sicuramente un passo storico necessario per la conservazione e la tutela della biodiversità degli oceani ma perché sia uno strumento davvero efficace ci auguriamo che il testo definitivo e le successive azioni risponderanno alle reali necessità: quelle del mare e non del profitto a ogni costo.


A Genova torna Slow Fish, quattro giorni per il futuro del mare e degli ecosistemi costieri

Dal dal 1 al 4 giugno, torna a Genova Slow Fish: l’evento internazionale organizzato da Slow Food insieme a Regione Liguria

Slow Fish riunisce comunità di pescatori, scienziati, cuochi, attivisti e organizzazioni per ricordarci quanto sia importante educare al rispetto per gli ecosistemi acquatici e a un consumo consapevole, mettendo in pratica comportamenti virtuosi per mitigare gli effetti del cambiamento climatico a partire dalle abitudini alimentari. Ti aspettiamo a Genova per scoprire la biodiversità sommersa e discutere il futuro dei nostri mari.

Sono già aperte le candidature per partecipare come espositori a Slow Fish. Le categorie merceologiche che la manifestazione ospiterà sono: prodotti ittici (freschi e conservati), olio, spezie, ortofrutta e legumi di territori costieri. Per candidarsi basta compilare questo form. Per ogni informazione ulteriore sono disponibili i colleghi scrivendo a espositori@slowfood.it