«Condividiamo la strategia di riduzione del rame nell’agricoltura bio, ma bisogna dare tempo alla ricerca per ottenere risultati su nuovi prodotti alternativi». Silvano Brescianini è direttore della Barone Pizzini, nota maison della Franciacorta fondata nel 1870, che dalla fine degli Anni ’90 ha avviato la produzione di bollicine bio: riprendiamo il dibattito sulla questione rame dopo gli interventi del componente del comitato esecutivo di Slow Food Italia Francesco Sottile, dell’agronomo e docente di viticoltura dell’Università di Scienze Gastronomiche Maurizio Gily e del presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologica (Aiab) Vincenzo Vizioli.

Nelle colline del Bresciano come altrove vignaioli, produttori e aziende si confrontano con i limiti per l’utilizzo di fitofarmaci e con nuove pratiche allo studio di istituti di ricerca e università.
«Anche per le nostre viti – afferma Silvano Brescianini – utilizziamo il rame e abbiamo partecipato a studi autorevoli che certificano che le modalità con cui oggi stiamo usando prodotti che non creino problemi all’ambiente, cioè al suolo o alle falde».
Il direttore della Barone Pizzini mette l’accento sul diverso trattamento tra agricoltori biologici e convenzionali (molti prodotti chimici utilizzati nell’agricoltura convenzionale contengono infatti il rame): «Noi produttori bio attiriamo tanta attenzione per l’utilizzo del rame nelle nostre coltivazioni, mentre non c’è sensibilità analoga per chi fa agricoltura convenzionale, dove le limitazioni sono minori e i rischi di inquinamento superiori. È doveroso lavorare per cercare e trovare metodi e prodotti alternativi al rame, ma il suo attuale utilizzo non rappresenta un problema».
Negli ultimi venti-trentanni l’agricoltura bio si è diffusa sempre più in tutta Italia e, parallelamente, sono state avviati e portate avanti ricerche per inventare o scovare anticrittogamici che non contengano il “metallo rosso”. «Gli studi proseguono – spiega Brescianini – e oggi stanno cerando dei prodotti sostitutivi che sul mercato non esistono. Eliminare una sostanza senza avere alternative disponibili, però, non è una scelta molto oculata. Pensate se si vietassero benzina e diesel senza aver ancora trovato un carburante diverso e non a base di petrolio».
«In ogni caso – continua – la nostra azienda fa riferimento ad un istituto di ricerca serio e affidabile. Noi produttori abbiamo imparato ad utilizzare meno prodotti a base di rame, a ridurre i dosaggi in base alle condizioni esterne e a fare tutto in modo più efficiente».
Se l’Unione Europea, nel prossimo futuro, porterà avanti i propositi di ridurre da 6 kg per ettaro all’anno a 4 kg l’utilizzo di rame nel settore bio ci saranno senz’altro conseguenze. «In azienda dovremmo inventarci qualcosa, e molto dipenderà dalle annate. Con una piovosità come quella di quest’anno ci sarebbero certamente dei problemi seri, mentre in stagioni come il 2015 o il 2017 non sarebbe stato grave».
Se passasse questa novità normativa, poi, bisognerebbe valutare la portata di eventuali deroghe o eccezioni: «Le quantità di rame da usare nei filari dipendono molto anche dalla posizione geografica. Noi in Franciacorta vendemmiamo a fine agosto e quindi abbiamo bisogno di meno prodotti, mentre in altre parti d’Italia la vendemmia è a settembre inoltrato, quindi ci sono più settimane in cui la vite potrebbe aver bisogno di trattamenti».
Nella zona di produzione di Franciacorta docg, su 2900 ettari il 70 per cento è passato al bio o si sta convertendo alle coltivazioni “senza chimica”. «Auspico che un giorno tutta l’area sia bio – commenta Brescianini -, ma non so se questo avverrà mai. Tra noi produttori, come normale, ci sono opinioni e sensibilità diverse. Noi come Barone Pizzini proseguiamo in modo convinto perché per noi ormai è un prerequisito, un modo di pensare, di agire, di coltivare e di affrontare il lavoro e la vita di cui non possiamo più fare a meno».
Andrea Garassino
a.garassino@slowfood.it