Pubblichiamo con piacere l’intervento del professor Paolo Barberi, Professore di Agronomia, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, uscito la scorsa settimana su La Stampa
Nella sua lettera pubblicata il 14 giugno, Carlo Petrini ha inquadrato perfettamente il tema della sostenibilità dei sistemi agro-alimentari, evidenziando con pacatezza e lucidità perché è necessario un cambiamento radicale: la cosiddetta “transizione agroecologica” tanto cara alla Commissione europea. Questa passa anche attraverso l’approvazione del disegno di legge nazionale sul biologico, oggetto di una velenosa campagna di disinformazione.
I denigratori dell’agricoltura biologica usano toni aggressivi ed argomenti basati su parte delle evidenze scientifiche, selezionate ad arte in modo che emergano solo i risultati che fanno comodo alle loro teorie. Per l’agricoltura biodinamica, poi, termini come “esoterismo”, “stregoneria”, “magia”, “frode”, “pseudoscienza” si sprecano, con linguaggio e atteggiamenti più consoni ad un troll da social network che ad uno scienziato. Il risultato è quello di generare confusione piuttosto che fare chiarezza.
Che cosa è una azienda biodinamica
Credo che nessuno dei denigratori abbia mai visitato un’azienda biodinamica (ma forse neppure una biologica) o abbia mai parlato con questi agricoltori. Qualsiasi persona dotata di una minima curiosità e non completamente obnubilata dai propri dogmi – caratteristiche che dovrebbero far parte del DNA di ogni scienziato – sarebbe tornata a casa almeno con un sano dubbio.
Non sulla liceità degli aspetti spirituali dell’antroposofia, che fanno parte – così come la religione – della sfera personale e sui quali la scienza non può e non deve intervenire, quanto sulla stretta aderenza tra l’approccio sistemico dell’agricoltura biodinamica e i fondamenti della scienza ecologica e del paradigma emergente dell’economia circolare. In un’ottica di sostenibilità, l’approccio sistemico tipico dell’agricoltura biologica e biodinamica è assai più importante dell’esistenza o meno dell’effetto del cornoletame e degli altri preparati, e meriterebbe – questo sì – una vera discussione scientifica in relazione all’approccio ipertecnologico e riduzionista che a esso si contrappone. Nessuno, neppure Petrini, nega l’importanza che la rivoluzione verde ha avuto nel dopoguerra.
Ma negare gli enormi danni che l’agricoltura industrializzata ha fatto al pianeta significa voler deliberatamente saltare a piè pari l’intero dibattito sulla sostenibilità che ha caratterizzato la scienza degli ultimi trent’anni e oltre.
È bene anche tener presente i limiti dell’approccio scientifico riduzionista nello studio di sistemi per definizione complessi quali quelli agricoli.
Produrre di più, ma meglio. E ridurre lo spreco alimentare.
Petrini ha ragione quando dice che non bisogna produrre di più ma meglio. Questo significa produrre con maggiore efficienza e minore impatto ambientale, ridurre la distanza tra luoghi di produzione e consumo, adottare diete più salutari, e favorire la ridistribuzione del cibo, per far sì che tutti abbiano sempre alimenti in sufficienza e di buona qualità.
Le stime sulla diminuzione della produzione per ettaro con l’agricoltura biologica variano tra l’8 e il 25%. È più importante colmare questo gap oppure ridurre lo spreco alimentare, considerando che nel mondo occidentale stiamo gettando via un terzo del cibo che produciamo con sistemi di tipo industriale? Studi Fao ci dicono che se esprimessimo lo spreco alimentare in termini di emissioni di gas a effetto serra (equivalenti di CO2), questo sarebbe il terzo “Paese” al mondo in termini di emissioni globali dopo la Cina e gli Stati Uniti.
Teniamo presente che negli ultimi vent’anni le produzioni di cibo su scala globale sono aumentate di circa il 50% per le coltivazioni, la carne e il latte e il 40% per il pesce, ma lo hanno fatto a discapito della quantità e qualità delle risorse naturali e con crescente impiego di input quali concimi e pesticidi.
Un importante studio su Lancet ha evidenziato che se reindirizzassimo le diete e i sistemi produttivi in senso sostenibile, già adesso ci sarebbe cibo sufficiente per sfamare oltre 10 miliardi di persone. Inoltre, potremmo ridurre di oltre il 20% il numero di decessi per malattie legate a disordini alimentari, pari a circa 11 milioni di vite umane all’anno.
La forza dell’agroecologia
L’agroecologia, paradigma emergente a cui si rifanno anche le agricolture di tipo biologico, è riconosciuto come l’approccio più promettente per reindirizzare i sistemi agro-alimentari in senso sostenibile. Agroecologia significa utilizzare tecniche che valorizzano e proteggono le risorse naturali e la biodiversità e le sinergie tra microrganismi, piante e animali, riducendo fortemente gli input per ottenere produzioni stabili e di elevata qualità, da sistemi diversificati resilienti ai cambiamenti climatici.
Tutto questo è supportato da un crescente numero di evidenze scientifiche.
Riguardo alla qualità dei prodotti biologici e al loro effetto sulla salute umana, esistono numerosi studi che ne mettono in luce gli effetti positivi. Se, in genere, non esistono differenze sostanziali tra prodotti biologici e convenzionali nel rischio di contaminazione da colibatteri e altri patogeni, il contenuto in residui di pesticidi è largamente inferiore nei prodotti biologici.
Batteri resistenti agli antibiotici sono stati isolati in misura maggiore nei prodotti convenzionali, ulteriore prova del fatto che l’enorme uso di antibiotici negli allevamenti intensivi è un serio fattore di rischio per la salute umana oltre a quello legato alla possibilità di diffusione di zoonosi.
I benefici del bio
In genere, i prodotti biologici hanno un maggior contenuto in vitamine, carotenoidi, antiossidanti e acidi grassi benefici e un minor contenuto in cadmio e micotossine, mentre i prodotti convenzionali hanno un contenuto superiore di proteine, amminoacidi, iodio e selenio. Il consumo regolare di alimenti biologici ha numerosi effetti benefici sulla salute, ad esempio la minore incidenza di preeclampsia nelle donne in gravidanza, la maggiore quantità e migliore qualità dello sperma e la minor incidenza di malattie cardiovascolari, mentre non sono state osservate differenze di rilievo rispetto al consumo regolare di alimenti convenzionali per l’incidenza di diversi tipi di tumore. Un recente articolo ha dimostrato come bastino soli 6 giorni dal passaggio da dieta convenzionale a biologica per ridurre la concentrazione di pesticidi e loro metaboliti nelle urine tra il 37 e il 95%.
Non dimentichiamo, infine, l’enorme ruolo che l’agroecologia e l’agricoltura biologica hanno nella rivalutazione socio-economica dei territori rurali, sottraendoli all’abbandono. Certamente l’agricoltura biologica, come gli altri modelli produttivi, presenta margini di miglioramento, ed è proprio in questa direzione che si dovranno indirizzare gli sforzi della ricerca.
È perfettamente lecito che gli scienziati si indirizzino verso lo studio di modelli produttivi anche molto diversi, e che parte di essi non abbia in simpatia le agricolture di tipo biologico. Ma la discussione, anche accesa, non deve mai travalicare i confini dell’etica scientifica. Le vere e proprie campagne di disinformazione a cui stiamo assistendo stanno arrecando un danno enorme non al tanto al biologico o al biodinamico quanto alla scienza stessa. Spero che questi sedicenti scienziati se ne rendano contro prima che sia troppo tardi.
Paolo Barberi
Professore di Agronomia, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa