In California la coltura intensiva di mandorle ha ucciso oltre 50 miliardi di api in un anno, un terzo dell’intera popolazione di api americane allevate a scopi commerciali.
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Bassissimo indice calorico, tante fibre, magnesio, zinco, ferro, calcio, fosforo, potassio e vitamina E. Sembra la formula della felicità, il toccasana per i fissati della linea e una gustosa alternativa per chi sceglie una dieta a base vegetale. Purtroppo però, quando un desiderio diventa eccesso non è mai un bene. E tale è diventata l’abitudine di consumare latte di mandorla. Una mania che negli Stati Uniti vale 1.2 miliardi di dollari l’anno( riuscite a immaginarli) e che in soli 5 anni ha fatto esplodere la domanda che segna con un poderoso + 250 percento. Ma il costo in termini ambientali è davvero alto, soprattutto per le nostre amiche api.

Lo studio
Ne dà notizia un recente rapporto del The Guardian che racconta proprio come l’insostenibile incremento dell’industria delle mandorle californiane stia incidendo sullo spopolamento delle colonie di api usate per impollinare i frutteti.
Attirati da guadagni più facili, gli apicoltori commerciali statunitensi stanno affittando i propri alveari ai proprietari delle piantagioni di mandorle della fertilissima Central Valley californiana che ospita l’80% della fornitura mondiale di mandorle. Fin qui tutto bene, se non fosse che, in una sola stagione – l’inverno 2018-2019 – sono morti circa 50 miliardi di api, per farvi una (spaventosa) idea, sono più di un terzo dell’intera popolazione di api americane allevate a scopi commerciali.

A cosa è dovuta la moria?
Le cause sono molteplici e, in ogni caso, tutte dovute ai metodi di coltivazione industriali l’utilizzo massivo di pesticidi necessari alla commercializzazione su larghissima scala del prodotto.
Manco a dirlo, a farla da padrone in questo tetro scenario è il caro e vecchio glifosato (trovate un ampia sessione di articoli qui slowfood.it/news/glifosato) sparso senza ritegno nei mandorleti industriali.
A questo nemico mortale si aggiunge per i preziosi insetti uno stress in più perché per impollinare le mandorle devono rinunciare a uno o due mesi del periodo di riposo invernale, uno sforzo immenso che le indebolisce e le espone a maggior rischio di malattie che tra l’altro si diffondono più facilmente a causa del massiccio numero di colonie concentrato in zone geografiche limitate.

Agricoltura killer
Ma il pericolo maggiore, a detta degli apicoltori biologici, sembrano essere i metodi di agricoltura utilizzati dall’industria delle mandorle che richiede la meccanizzazione di un processo generalmente svolto dalla natura secondo i suoi tempi. Le api commerciali infatti sono ben maggiori delle specie di api autoctone che vedono il loro habitat minacciato, oltre che dal cambiamento climatico, anche da queste enormi colonie che occupano i loro spazi. Avete ancora voglia di scolarvi litri di bevanda mandorlata senza chiedervi da dove venga e come sia prodotta? Ecco speriamo ben di no. Perché anche in questo caso non vogliamo demonizzare il prodotto o la libera scelta di ciascuno di preferirlo. Come nel caso dell’olio di palma o degli avocado, a dover cambiare è il sistema produttivo e la coscienza dei consumatori.
Ad esempio quelli americani potrebbero scegliere prodotti “bee-friendly” (amici delle api), segnalati da Bee Better, una no-profit che collabora con i coltivatori di mandorle per aumentare la biodiversità nei loro boschi, fondamentale per i piccoli impollinatori, piantando fiori di campo, senape e trifoglio tra le fila di mandorli.
In Italia
Anche in Italia il consumo del latte di mandorla è cresciuto in maniera esponenziale (i dati a disposizione risalgono al 2016 quando si registrava più 75% di bevande a base vegetali (mandorla, nocciola, avena e cocco). Se da un lato dunque ridurre il consumo di prodotti che arrivano da allevamenti industriali e intensivi è un bene per ambiente, biodiversità, animali e salute, ripiegare su un prodotto industriale seppur a base vegetale non risolve di certo la situazione.
Il latte di mandorla in Italia fa parte della tradizione gastronomica delle regioni del Sud, prima fra tutti Calabria e Sicilia. Ma la nostra storia gastronomica non ci indica certo consumi spropositati o fisse ossessive di linea e “salute”. Anzi il rischio è quello di vanificare le buone intenzioni che ci hanno portato a fare determinate scelte d’acquisto. Spingiamoci oltre, informarci più a fondo per fare scelte consapevoli e provare a scoprire come sono stati prodotti i cibi che consumiamo di più. In Italia abbiamo coltivazioni di mandorle che mettono in campo contadini e non mega-industrie. Noi vi citaiamo i Presìdi Slow Food della mandorla di Toritto in Puglia e della mandorla di Noto in Sicilia. Ma le alternative locali e sostenibili ci sono, basta cercarle!
Fonti:
www.theguardian.com/environment/
Il Corriere della Sera
A cura di Michela Marchi e Desirèe Colacino
m.marchi@slowfood.it
d.colacino@slowfood.it