Sementia 2020, promossa da Slow Food Campania a Benevento, è stata un’occasione di incontro per i protagonisti della filiera cerealicola che guarda con particolare attenzione ai grani tradizionali e alle produzioni contadine.
Per tre giorni il confronto si è concentrato sul futuro del settore e in particolare sulla biodiversità legata all’ambiente e ai territori. A sancire l’importanza di questo lavoro la nascita di Slow Grains, una rete che rappresenta tutte quelle persone che lavorano in modo etico e sostenibile al recupero e alla valorizzazione dei grani tradizionali. Una filiera ricca, composta da contadini, mugnai, panificatori, pizzaioli, birrai e consumatori chiamati sempre più sovente a collaborare tra loro nella convinzione che produrre o acquistare grano autoctono, lontano dalle logiche dell’agroindustria, sia più sano, più giusto, per noi e per l’ambiente.
«In un momento in cui la crisi climatica sta mettendo a rischio le sorti dei contadini – afferma Silvia de Paulis del comitato esecutivo Slow Food Italia -, una rete solida e partecipata può fare la differenza, perché la condivisione delle problematiche e degli obiettivi è fondamentale. È centrale per non sentirsi soli in un settore dove l’agroindustria fa la parte del leone».
Slow Grains, oggi formata dalle 30 comunità presenti a Sementia prevalentemente italiane e magrebine, si sta organizzando e alla prossima edizione Terra Madre Salone del Gusto a Torino, dall’8 al 12 ottobre a Torino Lingotto, si presenterà più numerosa e con tanti progetti. Ambizioso e complesso il programma di lavoro che questa neonata rete vuole affrontare: dalla salvaguardia della biodiversità alle mense scolastiche, dalla sovranità alimentare alla relazione tra farine industriali e la nostra salute passando per lo sviluppo delle piccole comunità di alcune zone rurali considerate ancora marginali. Ambiti complessi che devono essere presi in considerazione per fronteggiare un sistema industriale che erode e omologa l’agricoltura portando al collasso alimentare e favorire quei contadini che sono custodi del paesaggio e della biodiversità.
Perché Germogli di Comunità?
Ascolta qui di seguito le parole di Federico Porro, dell’azienda agricola Colle Berardino:
La parola grano, infatti, deve essere sempre più coniugata al plurale. Varietà presenti in tutta la nostra Penisola e che sono alla base di pani e ricette simbolo. Varietà che dovrebbero essere valorizzate e non abbandonate per fare posto a quelle moderne soggette a trasformazioni in laboratorio per renderle più produttive possibili. Grani che portano con sé il nome del territorio dove meglio crescono come il grano Segria delle Serre e Pre-serre catanzaresi, la Timilia e la Maiorca della Sicilia, la Saragolla lucana, il grano duro Marzellina tipico del beneventano, il Virglio, il Fiorello, l’Autonomia e l’Ardito del versante dell’Appennino tosco-emiliano. Rispetto alle varietà “performanti” destinate all’industria, le farine ottenute hanno elevate proprietà nutrizionali migliori e caratteristiche organolettiche straordinarie.
«Negli ultimi 50 anni abbiamo sconvolto la composizione della cariosside, passando da un grano ricco in amidi a un grano molto ricco in proteine che noi non siamo abituati a mangiare. Il fatto che ci sia un aumento delle intolleranze – spiega Stefano Benedettelli, professore dell’Università degli Studi di Firenze – dipende sia da questo tipo di selezione, sia dal processo di trasformazione: se prima si usava il lievito madre per la fase di fermentazione, oggi si ricorre al lievito chimico, perché è più veloce e permette al panettiere di produrre il pane in poche ore. Stessa cosa per la pasta: servivano 5 giorni per essiccarla, oggi in 2 ore è pronta, ma in questo modo si eliminano processi enzimatici importanti per il metabolismo, rendendo meno digeribile il grano».
Qual è la strada per migliorare la qualità dei semi?
Ascolta qui di seguito l’intervento di Stefano Benedettelli:
L’esigenza di creare “germogli di comunità” risponde a una chiamata alla vita che guarda avanti. In tal senso è più corretto parlare di grani tradizionali e non antichi, perché tradizione significa trasmettere oltre, partendo da un’eredità: in 10 mila anni di agricoltura i contadini hanno sempre attinto dalla conoscenza del proprio territorio per selezionare le varietà che meglio si adattavano alle caratteristiche di quel territorio. Nel giro di 50 anni purtroppo abbiamo perso i 3/4 dell’eredità raccolta dai nostri antenati, consegnando nelle mani di poche multinazionali la produzione delle varietà rimaste. «Chi controlla i semi, controlla la vita», ammonisce Serena Milano di Slow Food Italia. Ripartire dai grani tradizionali, allora, significa riappropriarsene, tenendo ben chiaro che questi grani non sono frutti sepolti e dimenticati, non appartengono a un passato al quale ri-tornare: piuttosto, sono opportunità che guardano al futuro e dalle quali ri-cominciare.
di Giulia Catania
g.catania@slowfood.it