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Olio, Toscana: annata assai dura. Ma il vero pericolo si chiama standardizzazione

Nel 2017, più che in altre annate, si è risentito del clima: un inverno asciutto e una primavera tra le più avare in fatto di piovosità hanno messo in difficoltà anche una pianta di grande resistenza come l’olivo.

Fiore d'ulivo

Il bilancio è però positivo dal punto di vista fitosanitario: la mosca non si è vista in quasi tutta la Toscana, purtroppo la alte temperature non hanno aiutato.

 

I problemi si sono manifestati durante la fioritura, quando, caldo e vento si sono accaniti sui fiorellini bianchi, proprio durante l’allegagione, ovvero durante l’importante e delicata fase del passaggio da fiore a frutto. Ma era solo l’inizio: l’estate è stata tra le più calde degli ultimi decenni. Così, per la paura di perdere interi raccolti, in molte zone della Toscana è stata anticipata la raccolta tanto che alcuni frantoi erano già aperti ai primi di ottobre. Ma la fretta è sempre cattiva consigliera. I frutti a metà ottobre erano disidratati e di olio nell’oliva una rarità.

 

Pazienza, conoscenze agronomiche, prove in frantoio hanno fatto la differenza. Insieme ad aver aspettato le prime piogge e primi freddi di fine ottobre, primi di novembre. Chi ha seguito questa strada ha ottenuto olive dalla pezzatura maggiore e polifenoli più equilibrati. Pochi frutti, ma sani!

 

Ma cosa rappresenta l’olivo in questa regione?

Oggi abbiamo quattro olivi per ogni toscano, ma quanti ne lasceremo ai nostri figli? In Toscana ci sono 15 milioni di piante di olivo, su 92 mila ettari (dati censimento 2010) e 3,75 milioni di abitanti. Ogni toscano è “adottato” da quattro olivi che vigilano sul paesaggio e sulla vita di città e paesi da secoli. Hanno passato le guerre, le gelate (1956 e 1985), resistono.

Oggi il vero pericolo è chiamato standardizzazione e industrializzazione, olio tutto uguale, da pochi euro al litro, che non ha storia e radici. Il rischio è l’abbandono. Il 30% della nostra olivicoltura è già abbandonata, lasciata inselvatichire, con le querce che rischiano di prendere il posto degli olivi.

Si perde storia e tradizioni ma anche sapori e profumi, quelli carciofati e mandorlati del buon Frantoio Toscano, l’amaro e il piccante della Moraiolo ma anche i sentori unici delle 80 cultivar tipiche toscane. Un patrimonio che rischia di andar perduto per sempre. Vale la pena di riflettere su cosa vogliamo salvare di questo mondo per i nostri figli.

Sonia Donati

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