Eventi & News

Mi piacerebbe considerare Slow Food come…

Dal Congresso di Slow Food Toscana, vogliamo pubblicare l’intervento conclusivo del presidente, Gaetano Pascale che abbiamo particolarmente apprezzato per il senso vero di appartenenza a una Comunità che esprime, per la serenità e profondità dell’impegno e il “garbo”, come ha notato qualcuno, con il quale ha condotto il proprio mandato.

 

Questa giornata, questo congresso di Slow Food Toscana, è ossigeno per chi vive i congressi in questo momento. La qualità delgi interventi, le emozioni… Daniela (si rivolge a Daniela la fiduciaria di SF Montepulciano si è commossa durante il suo intervento n.d.r.), le emozioni devono essere ossigeno per tutto quello che facciamo. Rinunciare alle emozioni è rinunciare alla passione e all’efficacia nel portare avanti il lavoro che svolgiamo tutti i giorni.

Questa giornata fa bene a tutti noi che crediamo in Slow Food e Slow Food Toscana ancora una volta si conferma un riferimento per tutta l’associazione nazionale. Lo è sempre stato e lo conferma in questi anni con questo ruolo importante su molti progetti che sono stati progetti guida per l’associazione e sono evidentemente il frutto di un lavoro che continua da tanti tanti anni.

Non posso fare a meno di fare gli auguri di buon lavoro, a Gianrico e tutto il gruppo che ha preso in mano l’associazione perchè ritengo che questa sfida che hanno accolto la porteranno avanti con le spalle larghe di quanti hanno tenuto il regionale in questi anni e che saranno a disposizione di Slow Food Toscana per il lavoro nei prossimi anni.

Non posso non ricordare Stefano. L’ho conosciuto poco più di quattro anni fa e c’è stato un feeling che si è innestato subito per tanti motivi. Stefano è stato capace di voler bene alle persone senza mai rinuncare a dirti quello che aveva da dirti, anche le critiche. Questa umanità nella capacità di essere amico sincero e leale credo sia un patrimonio di cui fare tesoro. Ce lo porteremo nel cuore e nelle azioni quotidiane. Dovremo provare a farlo sempre.

Il congresso ha sostanzialmente toccato l’attività svolta sul territorio nazionale. Si è parlato molto del fatto che è una fase di trasizione e cambiamento. Viviamo una fase di profonda trasformazione ma dobbiamo viverla con molta naturalità. In un mondo che cambia velocemente e sappiamo quanto i cambiamenti sono veloci, non possiamo non cambiare. In un mondo che cambia dobbiamo cambiare per adeguarci ma anche per opporci ad alcuni cambiamenti. Non possiamo solo adeguarci a tutto. Tutti parliamo di cambiamenti. Probabilmente nella nostra testa ci sono tanti cambiamenti quanti le persone presenti. Non tutti pensiamo allo stesso cambiamento. Questo cambiamento che ci accingiamo a proporre deve essere per forza sperimantale e farci sperimentare passo per passo la direzione verso cui volgiamo andare. Ci devono stare dentro tutti i cambiamenti possibili. Questa transizione non può essere costruita a priori. Al contrario. Questa transizione viene costruita da chi lavora e fa Slow Food. Solo in questo modo il cambiamento è un cambiamento che “dura nel tempo”, se vogliamo costruire un’Associazione cha guarda ai prossimi vent’anni oltre che ai prossimi due.

Questa trasformazione deve assicurarci di guardare molto a lungo nel tempo. Barbara faceva riferimento all’apertura, io aggiungo le alleanze per percorrere pezzi di strada insieme ad altri soggetti. Abbiamo ascoltato le istituzioni, abbiamo bisogno di tanti altri soggetti che faranno strada insieme a noi. Vogliamo costuire un’organizzazione più orizzontale. Nell’enunciato di principio siamo facilmente tutti d’accordo. Nella realizzazione di un’organizzazione orizzontale dobbiamo sperimentare e probabilmetne discutere ancora. Parlare di un’organizzazione orizzontale richiede dei passi.

Anche quella che è stata considerata una scelta personale di non ricandidarmi per un secondo mandato, non è una scelta personale ma è profondamente associativa. Non è stata fatta per fare dispetto a qualcuno, va nella direzione di provare a costruire questa orizzontalità, questo meccanismo per il quale, mi auguro, magari è solo un’utopia, ma vorrei un’associazione dove ogni singolo socio è in grado di portare avanti un progetto e può essere determinante quanto un presidente nazionale anche se non ha un ruolo istituzionale. Un singolo socio può essere determinante per l’utilità dell’associazione quanto un drigente dell’associazione. Questo è quello che mi piace immaginare per il futuro: una associazione che costruisce i percorsi in base alla volontà, alla capacità alla determinazione di cambiare effettivamente il mondo. La nostra capacità di cambiamento non sta negli enunciati ma nei progetti. Non ce lo dobbiamo dimenticare. Se siamo interlocutori credibili non è perchè diciamo, ma perchè facciamo cose che danno il segnale di un cambiamento, di un miglioramento dei sistemi alimentari.

La questione che mi sta più a cuore, e ritengo che dobbiamo essere sinceri e schietti, è giusto discutere di cambiamento e di praticare il cambiamento, ma è altrettanto giusto cominciare a dire che ci impegnamo per il cambiamento, non dobbiamo dimenticarci che le nostre energie migliori non stanno qui per cambiare Slow Food, ma dobbiamo cambiare il mondo fuori da Slow Food. Mi dispiacerebbe se dovessimo passare questi due anni di transizione solo a discutere tanto di cambiamento e meno di quello che rovina i sistemi alimentari, di milioni di persone malnutrite, di cambiamenti climatici. Noi dobbiamo immaginare un’associazione capace di cambiare sopratutto fuori da qui. È li che dobbiamo immaginare e concentrare il nostro impegno. Se veramente vogliamo essere efficaci in questo cambiamento esterno sostanzialmente dobbiamo concentrarci su tre livelli, e lo facciamo, ogni giorno con i nostri progetti.

Dobbiamo cercare di modificare la spesa quotidiana. Quello che comprano le persone quando vanno a fare la spesa. Di progetti ne abbiamo tanti in quella direzione.

Dobbiamo provare che non esiste cambiamento alimentari delle persone se non cambiamo le norme e le leggi. Susanna Cenni citava la lege sulla biodiversità. La legge è stata importante ma si fa grande fatica a farla recepire e rispettare alle Regioni. I PSR sono costruiti in modo da non dare quasi conto di quella legge, non danno nessuna premialità agli agricoltori che si adoperano nel biologico. Continuiamo a parlare di agricoltori custodi. Va bene ma non risolviamo i problemi della biodiversità se la custodiamo soltanto in uno scrigno. Non è li la salvezza se quella biodiversità non diventa produttiva a non ci da ogni giorno da mangiare.

Dobbiamo cambiare le modalità di spesa ma anche il quadro normativo. Pensate alla normativa sulle etichettatura. Siamo felici, orgogliosi di poter mettere l’etichetta del il made in Italy su alcune produzioni nazionali. E’ un’informaizone in più ma non possiamo limitarci a questo. Non vinciamo la sfida se continuiamo a mantenere il sistema di etichettatura che indica solo l’elenco degli ingredienti e al massimo la provenienza del principale. Il quadro normativo fa la differenza, e dobbiamo continuare a essere da pungolo per le amministrazioni per migliorare il sistema normativo che continua ad essere deficitario sotto tanti punti di vista.

I terzo punto è il lavoro con i produttori. Non possiamo immaginare di cambiare i sistemi alimentari nel mondo considerando i nostri produttori virtuosi un modello. Se questo elemento non diventa sistema, se i produttori non costituiscono la spina dorsale il corpo del sistema produttivo, i sistemi alimentari non li cambiamo.

È giusto che ci sia un cambiamento in Slow Food senza mai dimenticare che questi principi, questi cambiamenti, questo lavoro su tre livelli, incontra tutti i giorni un ostacolo piccolo piccolo che si chiama multinazionali.

Faceva bene Leonardo (esecutio sfToscana ndr) a preoccuparsi per l’olio.
Potremmo estendere a tutte le filiere alimentari.
Noi possiamo lavorare bene con i piccoli produttori con il legislatore con i consumatori, ma un alito delle multinazionali può distruggere tanto del nostro lavoro. Se non arginiamo l’atteggiamento a considerare i profitti delle multinazionali più importanti della salute delle persone, più importatni dei diritti dei lavoratori, più importante del diritto all’equità dei sitemi alimentari vanifichiamo il nostro lavoro. Abbiamo bisogno di arginare questa prepotenza che esiste in nome del dio denaro. È un’economia che non serve a nessuno se non a pochi soggetti. Serve a far stare male tante persone e non viene messa a disposizione dei cittadini. E’ un’economia che serve a poco. Non dovremmo mai dimenticarci che il problema non è la ridistribuzioe della ricchezza ma che le opportunità non sono uguali, non sono ben distribuite. Se non creiamo un mondo in grado di redistribuire le opportunità avremo problemi sempre più gravi di fame e malnutrizione. Continueremo con gli enunciati. Finchè diciamo che siamo contrari alla fame nel mondo siamo tutti d’accordo. Quando si tratta di far rinunciare a un pezzo di mondo ai propri privilegi, diventa complicato. Quella è la sfida più complessa per Slow Food.

Mi appassiona poco pur sapendo che è necessario, questo dibattito sulle persone. Lasciamole ai partiti. Non abbiamo bisogno di discutere chi guida l’associazione. Abbiamo cose più importanti da discuter e su cui concentrarci. La mia sfida personale è vedere se da socio riesco ad essere efficace in qualcuno dei progetti che Slow Food porta avanti.

Voglio concludere con un ringraziamento personale a Raffaella per questi quattro anni in cui mi ha rivolto le critiche più severe, ma quando sono fatte con onestà e ti aiutano ad affrontare le difficoltà che l’associazione richiede, a questa persona non posso che essere eternamente grato. Per me a livello personale e per Slow Food, avere questo patrimonio di persone che è stato citato stamani è veramente avere un’associazione ricca,

Queste convinzioni, questo bagaglio che dobbiamo portarci a casa di valori relazioni, sono quelle che fanno la differenza. Riusciremo ad essere molto più efficaci. Mi piacerebbe considerare Slow Food come un’associazione ecologista perchè per come è messo il pianeta, l’uomo ha svolto il ruolo di parassita. Ce ne accorgiamo oggi solo perchè gli effetti del nostro parassitismo si rivolgono adesso anche contro di noi e allora ce ne accorgiamo.

Prima gli efeftti si rivolgevano verso altre specie, adesso siamo parassiti di noi stessi e solo per questo ce ne accorgiamo.

E’ chiaro che il nostro impegno deve essere ecologista, ma il successivo deve essere solidale, deve essere un impegno che si occupa dei più fragili, un impegno di chi crede realmente nella possibilità di avere meno differenze in un mondo in cui il tiro alla fune viene svolto con armi e strumenti impari è chiaro che deve essere un impegno solidale.

Insieme a questi dobbiamo mettere l’impegno etico. Dobbiamo essere delle brave persone. In un mondo così competitivo, cerchiamo di essere meno competitivi, se proprio dobbiamo siamolo con noi stessi, cerchiamo di essere personalmente migliori di come eravamo ieri, non di qualcun’altro.

Solo così i progetti di Slow Food potranno diventare i progetti di Terra Madre.

Viva Slow Food. Viva terra Madre

 

Firenze 28 aprile 2018