Pochi giorni fa ho incontrato ad Alba Pietro Ratti, presidente del Consozio di Tutela del Barolo e Barbaresco. L’occasione è stata quella della presentazione di alcune prime immagini di Barolo Boys, il film di Tiziano Gaia e Paolo Casalis.
La chiacchierata con Pietro Ratti è stata breve ma molto interessante. Lui era reduce da un viaggio negli States e mi ha detto che in questo momento sono due le questioni che vanno per la maggiore negli Stati Uniti.
La prima: la “guerra” del Cannubi. Come molti di voi sapranno si tratta della più celebre vigna del Barolo, sulla quale si sono spesi fiumi di inchiostro ed è stato fatto anche un film da James Suckiling. Dietro la definizione dei confini di questo cru si è aperta una battaglia legale, che ha avuto pesanti strascichi e pare non finire mai (come d’altra parte è nello stile della nostra giustizia). Ne ha scritto diverse volte, in modo molto interessante, Marta Rinaldi (dell’omonima azienda di Barolo) su Intravino. Il succo della contesa (riassumendo velocemente la querelle) è quello che vede contrapposte due visioni: da una parte chi vorrebbe poter utilizzare il nome Cannubi da solo anche quando si vinificano uve provenienti da sottozone come Cannubi Boschis e Cannubi Muscatel (questa richiesta è giustificata dalla consuetudine decennale), dall’altra chi non accetta questa richiesta e vuole tenere separate le differenti denominazioni. I tre gradi di giudizio (vedendo rovesciata più volte la sentenza) hanno dato ragione ai primi e torto ai secondi. Da un punto di vista strettamente personale, dichiarando chiaramente di non essere un esperto legale, sono più affezionato alla visione dei perdenti: essendo nati quei cru con il nome Muscatel e Boschis e solo in seguito associati al Cannubi, mi pare giusto che se ne parli in modo separato.
Tornando però a quanto ci ha detto Pietro Ratti il problema negli Usa è che lo hanno tempestato di domande di questo tenore: “Se si allargano i confini di sottozone appena approvate dal Consorzio e dai produttori, come si fa a essere sicuri del lavoro che è stato fatto? Quanto è serio? Perché un consumatore americano si dovrebbe fidare di voi italiani che avete una giustizia così lunga e contorta?”.
Ora sarebbe difficile dargli torto. Aggiungiamo il fatto che è stata organizzata, durante le giornate di Nebbiolo Prima (mercoledì 14 maggio nel Castello di Barolo), una conferenza stampa (aperta solo ai giornalisti invitati) per spiegare le ragioni del ricorso. Ce le spiegheranno le cinque aziende coinvolte: Brezza, Sandrone, Mascarello, Tenuta Carretta, Flavio Battista Borgogno. Noi ci saremo di sicuro e vi aggiorneremo sulla contesa.
La seconda questione tirata in ballo da Pietro Ratti è quella legata al Barolo 2010 che pare aver decisamente fatto impazzire gli americani. Per questo mi chiedo se sia per caso in arrivo un punteggio a tre cifre per l’annata. Non c’è due senza tre, visto che le prime due a mio parere sono state sballate (1990 e 2000), magari questa volta il giudizio sarà azzeccato. Di certo le attese oltreoceano sono alle stelle, così come gli acquisti, che per le aziende top paiono andare alla grande. Tanto che alcune cantine, avvicinate durante le nostre visite per Slow Wine, ci hanno confessato di avere già i magazzini vuoti…
Insomma, il Barolo sta facendo parlare molto: un bellissimo documentario in arrivo (che chi scrive può dir di aver visto…), una “guerra” sul futuro del cru più celebre e infine, il salto del Barolo, tra le denominazioni più importanti del pianeta. Ne vedremo delle belle…
Nella prima foto Pietro Ratti, la seconda immagine è tratta dal sito di Michele Chiarlo