Tempo fa si è tenuta a Bologna una degustazione di vini di Franz Haas: fin qui nulla di strano o di particolare, se non che la serata è stata una sorta di orizzontale-verticale in contemporanea durante la quale sono state degustate bottiglie “doppie” per ogni singola annata, ovvero chiuse sia con il tradizionale tappo di sughero e sia con tappo a vite (per la precisione Stelvin Flus).
L’occasione è stata perfetta, particolarmente istruttiva e interessante, per fare alcuni ragionamenti sull’annoso problema della chiusura delle bottiglie e sulla questione “ma è meglio continuare a usare il sughero o i tappi a vite sarebbero una soluzione ideale?”.
Da sempre Franz Haas non è contento della chiusura con tappo di sughero: pur utilizzando fornitori diversi, e pezzature di sughero costose ma diversificate tra loro, è convinto – e lo ricorda in continuazione – che ben l’85% dei suoi vini vengano alterati dal sughero. Ovviamente non tutto l’85% ha il cosiddetto TCA, o sentore di tappo, ma si tratta in genere di piccole alterazioni che comunque modificano gli aspetti originali del vino.
Haas ha cominciato a studiare la materia fin dagli anni Settanta, quando ancora il tappo a vite era un vero e proprio UFO; Franz era già convinto “che non ci sono più i sugheri di una volta”, quelli che chiudevano e sigillavano davvero. Per questo ha cominciato a sperimentare modalità di chiusura delle bottiglie alternative.
La serata è iniziata con le attuali annate in commercio dell’Alto Adige Pinot Bianco Lepus 2014 (ovviamente parleremo sempre al plurale per la doppia presenza della stessa etichetta, chiusa con sughero o a vite). Al naso i due vini presentavano caratteristiche simili: semmai la versione “Cork Free” – come chiama Haas la chiusura a vite – maggiori ventate di freschezza, caratteristica che si è mantenuta anche al palato; la versione “sugherata” risultava più grassa e ricca, e con un po’ meno di acidità rispetto allo Stelvin, che con il passare del tempo si mostrava sempre più scattante e fresca, quasi con maggior bevibilità.
Si è poi proseguito con il Manna – l’aristocratico blend di sauvignon, chardonnay, traminer aromatico, kerner (solo per la 2013) e riesling – vino bianco “di punta” dell’azienda, proposto nelle annate 2013, 2011 e 2008.
Franz ha subito notato che tutte le bottiglie col sughero facevano parte del 15% perfetto, e quindi non adulterato; io, che ho sicuramente un naso meno fino del suo, non ho colto questa sfumatura, ma la caratteristica che più mi ha colpito è stata senza dubbio la chiara e netta sferzata del tappo vite verso sfumature petrol, come se questa tappatura avesse valorizzato molto di più la percentuale di riesling contenuta nel vino rispetto a quella degli altri vitigni.
Questo ha impreziosito il risultato finale, rendendo il vino più ampio e complesso, pur mantenendo – tutte le bottiglie tappate a vite – una freschezza intrinseca più sostenuta e sferzante. Nelle due versioni di Manna 2013 le sensazioni gusto-olfattive erano più o meno equivalenti, con la “solita” ventata di maggiore freschezza nello Stelvin.
I due 2011 invece hanno preso fin da subito due strade diverse e nemmeno tanto parallele: se le note mature di frutta esotica, seguite da pienezza di sapore e ricchezza di gusto, caratterizzavano il tappo a sughero, la stessa frutta – ma più soda e meno matura – era il connotato evidente del tappo a vite, snellito nel corpo e con una maggiore sensazione di acidità e sapidità, che diventava più cavalcante e incisiva, con le sensazioni petrol di cui sopra più presenti e apprezzate. Haas ci ha informato che fino all’annata 2013 imbottigliava – con le due chiusure diverse – la stessa massa di vino; da quell’annata in poi invece ha cominciato a preparare due masse distinte.
Con l’andamento fin qui descritto m’immaginavo che andando verso annate più vecchie queste differenze si ampliassero, invece l’annata 2008 ha rimescolato un po’ le carte: i vini simili nell’impianto gusto-olfattivo, con frutta ben matura e ancora soda per entrambi, a cui si associava un floreale sussurato che dava spazio alle note di evoluzione. L’idrocarburo era l’unica nota degna di sostanziale differenza, più accennato nel sughero, più incisivo e aristocratico nel tappo a vite; ma alla cieca sarebbe stato difficile riconoscere l’una o l’altra delle due modalità di chiusura.
Concludendo: se prima avevo qualche dubbio sulle due modalità di tappatura ora i dubbi sono tutt’altro che risolti, anzi quasi amplificati; non saprei decidere con certezza estrema tra la bontà di uno o dell’altro sistema. Ovviamente rimane per il “Cork Free” il grosso problema “dell’anti poesia” durante il rito, sempre affasciante e suggestivo, della stappatura a regola d’arte di una bottiglia; d’altro canto però il tappo a vite risolve “alla grande” il problema dello stoccaggio e della conservazione in cantina: non è più necessario sdraiare le bottiglie!