Sul numero 1250 del settimanale Internazionale compare un articolo molto bello. L’ha scritto il giornalista scientifico Charles C.Mann per The Antlantic, rivista statunitense tra i cui fondatori troviamo addirittura uno dei padri della patria della cultura nord americana vale a dire Ralph Waldo Emerson. Nel 2050 il mondo avrà dieci miliardi di abitanti, ma le sue risorse saranno le stesse di oggi. Per dare da mangiare a tutti serviranno soluzioni radicali. Due scuole di pensiero si sfidano da anni per trovarle. Il sottotitolo appena riportato riassume in modo essenziale l’articolo ma il messaggio arriva diretto e chiaro.
Le due scuole di pensiero delineate sono intuibili. Da un lato la scienza tecnologica che vede nell’innovazione l’unica via accettabile per risolvere il problema dell’alimentazione, dall’altra la scienza ambientalista che vede nella riduzione del consumo di beni e suolo l’unica via possibile alla sopravvivenza umana.
Vi consiglio di recuperare questo pezzo, in originale qui. In definitiva Mann definisce impossibile un dialogo tra queste due posizioni definendole linee parallele. “Anche se si parla di calorie per ettaro e di conservazione degli ecosistemi, il disaccordo alla base del dibattito riguarda la natura stessa dell’agricoltura, e di conseguenza della società. Per i seguaci di Borlaug (figura emblematica del “tecno-ottimismo” ndr), coltivare la terra è un lavoro utile ma faticoso che dovrebbe essere ridotto il più possibile per aumentare al massimo la libertà dei singoli individui. Per i seguaci di Vogt (figura di riferimento per gli ambientalisti ndr), agricoltura significa mantenere le comunità ecologiche e umane che hanno garantito la vita dai tempi della prima rivoluzione agricola più di diecimila anni fa”. Così chiosa quasi alla fine dell’articolo il giornalista.
La stessa incomunicabilità tra due pensieri opposti è emersa subito dopo la pubblicazione dello studio, a cura della Scuola Sant’Anna Superiore di Pisa coordinato dalla Dottoressa Laura Ercoli apparso su Scientific Reports che evidenzia la non pericolosità – attenzione non la salubrità – della coltivazione transgenica del mais elaborando venti anni di studi specifici. Potete leggerlo qui.
A questo eclatante articolo ha risposto da par suo Carlo Triarico, storico della scienza e Presidente dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica sul sito web dell’Osservatore Romano con il suo post che potete leggere qui “ La Terra non è in vendita“. Dice Triarico “Come rileva il genetista Salvatore Ceccarelli, tra i massimi esperti in agrobiodiversità genetica, lo studio non considera che la salute umana è influenzata dal microbioma, che dipende dalla biodiversità e variabilità alimentare, apporti preclusi dall’uniformità transgenica. La minaccia alla biodiversità che gli ogm potrebbero portare, comporta danni all’uomo, all’ambiente e all’economia”.
Uno dei firmatari della ricerca dell’Università di Pisa è il professore di microbiologia agraria Marco Nuti. Lo conobbi in una splendida intervista rilasciata a Maurizio Paolillo, per il mai troppo ricordato Porthos, numero 35, sull’etica dell’agricoltura. Grazie a lui ho cominciato a capire come la qualità di un vino si intrecci alla vitalità del suolo. Proprio il suo nome legato alla ricerca sugli ogm mi ha fatto cadere dalla sedia. Lo ammetto non sono imparziale ma nemmeno, per fortuna, giornalista e questo mi salva.
Ho incontrato Marco Nuti qualche settimana fa all’Università di Agraria a Pisa insieme a Cipriano Barsanti, proprietario dell’Azienda Agricola Macea a Borgo a Mozzano e direttore dell’Azienda Agricola Camigliano a Lucca, e Andrea Kihlgren dell’Azienda Agricola Santa Caterina a Sarzana. Andrea come me era rimasto molto colpito dalla pubblicazione della ricerca universitaria. Il professor Nuti nella due ore passate con noi è stato di una cortesia e professionalità impareggiabili. Ha sostenuto con fermezza le ragioni della ricerca durata venti anni che ha scartato un’incredibile quantità di articoli non ritenuti adeguati per arrivare con certezza a quanto si afferma nell’articolo.
Alla domanda di Cipriano che cosa lo studio emerso potesse rivelarci sugli elementi nutrizionali del mais o sulla fertilità del suolo Marco Nuti ha risposto nettamente “La ricerca non ha semplicemente preso in considerazione queste variabili. Punto”.
Come si evince: da un parte la ricerca accademica ha svolto il suo compito fissando, forse, un nuovo inizio sulle sperimentazioni ogm anche in Italia, dall’altro esiste un altro tipo di scienza che vuole considerare l’agricoltura non solo un campo di sperimentazione e produzione ma un sistema di valori culturali ed economici alla base di una complessa situazione sociopolitica.
Ritorna l’impossibilità del dialogo rilevata molto bene dal giornalista americano e la consapevolezza che non sarà mai facile far coincidere i risultati scientifici dell’accademia con quelli scaturiti dall’agricoltura contestualizzata alla comunità vivente.