Terroir. Qual è la traduzione/interpretazione più giusta di questo usatissimo e abusatissimo termine francese?
Sappiamo benissimo che non è, come semplicemente si potrebbe intendere, territorio e tanto meno terreno. Con terroir si intende qualcosa che va oltre gli aspetti, anche ampi e articolati, che riguardano il terreno su cui giace un vigneto. Terroir comprende certamente anche le connotazioni climatiche che insistono su quella porzione di territorio, grande o piccola che sia. A queste si aggiunge la presenza del/i vitigno/i, anche qui nell’accezione più ampia possibile. Da ultimo nel termine terroir entra anche l’aspetto umano, inteso come storia, cultura, tradizione … .
Wikipedia in merito recita così: il terroir può essere definito come un’area ben delimitata dove le condizioni naturali, fisiche e chimiche, la zona geografica ed il clima permettono la realizzazione di un vino specifico e identificabile mediante le caratteristiche uniche della propria territorialità. Il terroir definisce anche l’interazione tra più fattori, come terreno, disposizione, clima, viti, viticoltori e consumatori del prodotto. Questa parola non può essere banalmente tradotta in altre lingue in “territorio” in quanto il concetto è molto più complesso.
Ultimamente gli aspetti umani sembrano essere cresciuti nella definizione di terroir, fino a comprendere questioni che mai erano state tirate in ballo prima, come il “tradizionale” utilizzo delle barrique, la “tradizionale” macerazione delle uve, l’assenza di controllo delle temperature in vinificazione e così via fino ad arrivare, per qualcuno, a sostenere che anche la presenza di brettanomyces nel vino è una questione di terroir (in questo caso omologante, ma vabbè, questo è un altro discorso che lasciamo per il momento stare …). Credo che qualcosa vada tolto da questo lungo elenco; una corretta interpretazione di terroir non può comprendere anche tutti questi aspetti, ma per ora non mettiamo limiti alla fantasia e accettiamo anche queste estensioni …
Ho avuto modo, qualche giorno fa, di imbattermi invece in un’illuminante interpretazione e definizione di terroir, piena e convincente. Me l’ha espressa un vino e, allo stesso tempo, un agronomo chiamato a parlare di quel vino. L’occasione è stata la meravigliosa e unica verticale di 20 annate del Caberlot di Il Carnasciale, che si è tenuta a Firenze lunedì 17 febbraio. Di questo evento parleremo presto in altra sede, per il momento mi limito a dire che un vino così marcatamente “di terroir” come questo è difficile trovarlo. E l’assaggio delle venti annate lo ha dimostrato ampiamente.
Ma ancora più illuminante è stato il discorso che, durante la degustazione, ha tenuto l’agronomo romagnolo Remigio Bordini – al centro nella foto – che ha curato fin dall’inizio il progetto del Caberlot assieme al grande enologo toscano Vittorio Fiore. Durante il suo racconto sulla storia e sulle decisioni che hanno originariamente portato a piantare a Mercatale Valdarno quella particolare varietà che da allora origina il Caberlot (ancora non ben definita, perché non si è mai voluto – giustamente credo – studiare a fondo la sua genetica), Bordini ha detto queste testuali parole: “la piena espressione del terroir si ha quando non si distingue, nel vino, l’essenza genetica della varietà”, che tradotto in termini – miei – più volgari significa che quando il terreno è buono, e la vigna è in perfetta forma, la varietà utilizzata è di secondaria importanza per la qualità e per il carattere del vino. Un concetto che abbiamo già fatto nostro ed espresso varie volte, in vari modi e in contesti diversi, (ultimamente, per esempio, qui). Bordini in quella occasione lo ha codificato in maniera mirabile.
Ecco, per me da oggi terroir è questa roba qua … non riesco a trovare parole più giuste e illuminate per tradurlo.
Foto: domaine-montrose.com, winefolly.com