In Italia si produce vino in tutte le regioni – caso pressochè unico al mondo – e in ognuna di queste vengono coltivati, da lungo tempo, alcuni interessanti vitigni che vengono banalmente definiti “minori” solamente perché, per vari motivi storici, non sono mai entrati nell’olimpo delle presunte migliori varietà nostrane.
Negli ultimi due decenni c’è stata una giusta riscoperta e una virtuosa valorizzazione di queste varietà autoctone, che in taluni casi è diventata anche fenomeno di moda, commercialmente assai rilevante: pensiamo, per esempio, alle attuali pressanti richieste del mercato per Falanghina, Pecorino, Nerello, ecc. … Per certi versi sembra che si sia improvvisamente sovvertita una tendenza, per cui oggi diventa quasi impossibile convincere qualcuno ad assaggiare una buona bottiglia di Chardonnay o di Cabernet Sauvignon (e ce ne sono tante in Italia di assolutamente interessanti), quasi ci fosse una crisi di rigetto per queste varietà che trionfavano in tutti i wine bar d’Italia solamente 15-20 anni fa. Ma si sa, il mondo del vino vive di inconcepibili estremismi modaioli…
Abbiamo intenzione di proporvi, una volta a settimana, un bel giro per la penisola alla scoperta di queste bellissime varietà. Seguiteci 🙂
ERBALUCE
Il vitigno è senz’altro antico: la prima citazione risale addirittura al 1605, a opera di Giovanni Battista Croce, che cita l’erbaluce nel suo volumetto Della eccellenza e diversità de i vini. Molti ampelografi lo hanno descritto nelle epoche successive, sempre dibattendo, e dividendosi, sulla zona d’origine. Alcuni – come Demaria e Leardi, nel 1875 – collocano la sua culla nel basso Monferrato, dove però da tempo non si rinvengono tracce del vitigno. Più probabile, come sostengono altri autori, che l’erbaluce derivi proprio dalla zona in cui oggi è diffusamente coltivato, ossia la provincia di Torino, in particolare la sua fascia prealpina.
Ma potrebbe anche venire da assai più lontano come lascerebbe intendere il termine con cui l’erbaluce è conosciuto nel Novarese, ovvero greco: recenti analisi genetiche hanno confermato infatti la parentela con il greco coltivato in Campania, mentre è stata definitivamente allontanata l’ipotesi che insisteva sulla somiglianza genetica con l’arneis o il trebbiano, due varietà che un tempo venivano spesso confuse con l’erbaluce.
Quale che sia la sua culla d’origine, oggi l’Erbaluce è coltivato pressoché esclusivamente nel Biellese, nel Novarese e soprattutto in provincia di Torino, dove ha la sua concentrazione maggiore e dove trova il suo epicentro nel Canavese, sulla Serra d’Ivrea e sui colli che circondano il lago di Viverone. Le Doc che prevedono la presenza dell’erbaluce sono Colline Novaresi e Coste della Sesia, oltre alla più estesa e conosciuta denominazione Erbaluce di Caluso.
La pianta si presenta con un grappolo di media grandezza, di forma cilindrica allungata e compatta, munito spesso di una o due ali; gli acini sono grandi, sferoidali, con buccia pruinosa e di colore giallo verdastro. Il frutto giunge alla piena maturazione in genere verso la terza decade di settembre, anche se nelle annate più calde – come accaduto, per esempio, nel 2017 – si può anticipare la vendemmia anche ai primi giorni di settembre.
Venendo alle migliori etichette prodotte con erbaluce che, a nostro avviso, vale la pena segnalare procediamo con una divisione per tipologie: la duttilità del vitigno permette infatti di produrre ottimi vini fermi ma anche altrettanto convincenti spumanti prodotti con Metodo Classico e vini dolci da uve appassite.
Le punte di eccellenza della denominazione sono rappresentate senza dubbio dai vini dell’azienda Favaro – Le Chiusure, di Piverone (TO): l’Erbaluce di Caluso 13 Mesi 2016 è un piccolo capolavoro che, dopo un affinamento di 13 mesi parte in cemento e parte in legno, si presenta al naso con note erbacee, agrumate e gessose di grande raffinatezza, mentre in bocca è sottile, profondo e infinitamente salino. Stessa qualità ma carattere e stile differente, anche per effetto di un’annata più calda, per l’Erbaluce di Caluso Le Chiusure 2017, vero vino-simbolo dell’azienda.
Presenta due ottime etichette anche storica cantina Ferrando, di Ivrea (TO): l’Erbaluce di Caluso La Torrazza 2017 sfoggia tutta la sua vigoria, con nerbo acido e una buona struttura che lo rendono piacevole. L’Erbaluce di Caluso Cariola 2017 ha invece un’impronta diversa: qui la piccola quantità affinata in barrique conferisce rotondità in bocca, mentre sapidità e buona persistenza completano la trama gustativa.
Nel comune di San Giorgio Canavese (TO) hanno sede due aziende che da tempo garantiscono ottime versioni della varietà: l’Erbaluce di Caluso La Rustía 2017 di Orsolani presenta evidenti note di frutta tropicale, a cui si aggiungono cenni che ricordano il pompelmo; nel finale di bocca troviamo un’acidità ben bilanciata, per un sorso nel complesso molto slanciato. L’altra etichetta aziendale, l’Erbaluce di Caluso Vintage 2015, è una vera sorpresa: qui i sentori terziari fanno la voce grossa, ma non mancano sbuffi di fiori di campo a ingentilire il quadro olfattivo. L’Erbaluce di Caluso Misobolo 2017 di Cieck è come sempre una delle migliori espressioni della denominazione, grazie ai profumi di erbe e fiori, alla sapidità e a un percorso di bocca trascinante. L’Ingenuus Erbaluce Tradizione 2015 della stessa azienda è invece una versione più naturale e rustica, vinificata con utilizzo di poca solforosa e con lieviti indigeni.
Molto ricco da un punto di vista della materia l’Erbaluce di Caluso 2017 di Le Campore di Caravino (TO), dai profumi erbacei e delicatamente fruttati. L’Erbaluce di Caluso Ypa 2017 della cantina Santa Clelia di Mazzè (TO), viene vinificato con un basso uso di solfiti aggiunti e durante l’affinamento in acciaio vi è un ricorso continuo al bâtonnage: nasce così un bianco ricco, corposo e di buon allungo. L’Erbaluce di Caluso Essenthia 2017 ha grande intensità alcolica e potenza, con una beva un po’ frenata da questa stazza talvolta un po’ difficile da “digerire”.
Possiamo tranquillamente sostenere che da Cieck lo spumante prodotto con Metodo Classico sia di casa. L’Erbaluce di Caluso Brut San Giorgio 2015 ha profumi erbacei e di frutta, oltre che una buona struttura. Il Pas Dosé Cieck Nature 2013 grazie alla sosta di almeno quattro anni sui lieviti acquisisce una spiccata complessità e una ricchezza gustativa esemplare. L’Erbaluce di Caluso Brut 2014 di Le Campore, dopo un affinamento sui lieviti di 36 mesi, propone sentori delicati in cui lieviti e frutto la fanno da padrone, e un sorso abbastanza teso per sapidità e freschezza, con chiusura morbida e delicata. L’Erbaluce di Caluso Brut Rigore 2008 di Santa Clelia, dopo la lunga permanenza sui lieviti si apre con profumi decisamente tropicali e un palato morbido, con una buona dose di grassezza. Il Caluso M. Cl. Brut 1968 Cuvèe Tradizione 2011 di Orsolani, infine,è una chiara espressione dell’ottima maturità che può raggiungere un Metodo Classico prodotto con erbaluce: dopo il riposo di 60 mesi sui lieviti si esprime con nette note di pasticceria e di miele, con una bocca elegante, incisiva e cremosa.
Il Caluso Passito 2012 di Ferrando è sinonimo della tradizione in questa zona: il lungo affinamento esalta le grandi potenzialità di questo vitigno; le note di frutta disidratata e mielose sono ben supportate in bocca dall’acidità. Nel Caluso Passito Sulè 2010 di Orsolani l’appassimento delle uve in solaio dona un corpo che rispecchia pienamente le caratteristiche di maturità e freschezza del vitigno. L’Erbaluce di Caluso Passito Alladium 2005 di Cieck viene affinato in barrique e riposa un anno intero in bottiglia: ha i classici sentori dei passiti (frutta candita, frutta secca, miele), ma in un contesto di grande eleganza e raffinatezza. Il Caluso Passito Dus 2008 di Santa Clelia è ricchissimo e rinfrescato solo parzialmente da una vena acido-sapida in chiusura.