Oggi parliamo di lievitazione indiretta con il lievito madre: che cos’è e la ricetta per conservarlo. Vi ricordiamo con l’occasione che domenica sarà il Pasta madre day e che a in Piazza Bodoni e presso il Miele Center, Slow Food Italia organizza Ricomincio dal pane, quattro laboratori durante tutta la giornata per imparare a fare il pane a lievitazione naturale in casa: dalla scelta delle farine all’attivazione e rinfresco del lievito madre, dall’impasto alla formatura, dalle fasi di lievitazione alla cottura. Tutte le info qui
E per saperne ancora di più non perdetevi i prossimi corsi del Master of Food che stanno per partire:
Campania
A Salerno il 16-18-20-25-27 marzo 2015 e 3 aprile 2015 si tiene il Master of Food Vino. Qui maggiori info
Friuli-Venezia Giulia
A Cordenons (Pn) il 20 marzo c’è la lezione Le fragranze del mondo: spezie dal Nuovo mondo. Qui tutte le info
Lombardia
Il 28 Aprile 2015 a Milano Le fragranze del mondo: Spezie d’Africa e del Mediterraneo. Qui tutti i dettagli
Lazio
Il 27 marzo, 10-17-24 aprile e 8-15 maggio 2015 presso Hotel Valentino, in Via San Domenico,1 a Sora (Fr) si tiene il Master of Food Vino. Scopritene di più qui
Di seguito, tratta dalle dispense Master of Food Cereali e pane, come si fa, usa e conserva la pasta madre
Il pane è una meravigliosa combinazione di farina, acqua e sale in cui il risultato è molto più della somma dei costituenti: ma per la sua riuscita l’ingrediente più importante è il lievito. La lievitazione è la fermentazione dell’impasto (acqua e farina) che subisce una trasformazione biologica producendo gas (generalmente anidride carbonica) che fa gonfiare l’impasto. I tipi di lievitazione possono essere suddivisi in due grandi famiglie in base alla tipologia di lavorazione e alle fermentazioni che avvengono all’interno degli impasti: lievitazioni indirette e lievitazioni dirette.
Lievitazioni indirette
Per lievitazioni indirette si intendono tutti quei tipi di impasti che richiedono due tempi distinti per lo sviluppo della ricetta. Si procede cioè alla preparazione di un primo impasto che deve fermentare per qualche tempo (da alcuni giorni con il lievito madre ad alcune ore nel poolish). Solo una volta raggiunto il giusto grado di fermentazione di questo primo impasto si procederà all’impasto definitivo per la produzione del pane. È quindi il primo impasto che funge da lievito e permette al pane di gonfiarsi. I principali metodi di lievitazioni indirette sono:
Il lievito madre la biga
il poolish. Oggi ci concentriamo sul lievito madre
Il lievito madre, detto anche – tralasciando le infinite varianti dialettali di ogni regione e provincia italiana – pasta madre, lievito naturale o crescente, è il principio grazie al quale la specie umana ha iniziato a produrre il pane. Tradizionalmente usato nel passato, oggi è poco utilizzato, causa la preparazione laboriosa, lenta e impegnativa, ma è sicuramente appagante sotto l’aspetto qualitativo. Il procedimento è tanto semplice da spiegare quanto delicato da realizzare. Si ottiene miscelando farina (di solito di frumento) e acqua in pari quantità e lasciando riposare l’impasto sino a che non se ne ottiene la fermentazione spontanea a opera di microrganismi presenti nell’ambiente. Tra questi si annoverano varie specie di batteri lattici (eterofermentanti e omofermentanti) del genere Lactobacillus, saccaromiceti, streptococchi e, in misura minore, fermenti acetici e lieviti indigeni o “selvaggi” che sviluppano acido acetico, butirrico e lattico. Da qui nasce la ricchezza di sapori e profumi del pane così prodotto, perché i fermenti cambiano a seconda dell’ambiente (luogo, zona climatica, area geografica, vegetazione…). I prodotti di fermentazione che influiscono sull’aroma sono acidi organici come l’acido acetico e l’acido lattico e prodotti secondari quali diacetile e acetaldeide, tipici della fermentazione lattica. Ma il lavoro non è finito: una volta creata la “madre” va allevata e tenuta in salute, cioè rinvigorita da continue aggiunte (dette rinnovi o riporti) di acqua e farina per “dare da mangiare” ai lieviti. Senza i rinnovi l’impasto fermenta troppo e diventa troppo acido, trasmettendo al pane un gusto sgradevole e asprigno, un odore acidulo e acre. Ogni tanto è meglio innestare un pezzo di altra madre o, in alternativa, la farina di partenza va cambiata, per evitare la “consanguineità” tra i lieviti che porterebbe a lungo andare alla “stanchezza della madre”, ossia a lievitazioni insufficienti e mal riuscite.
Questi lieviti si riproducono alimentandosi degli zuccheri contenuti nell’amido delle farine, che a loro volta vengono trasformati in gas (anidride carbonica) e, in misura minore, in acido lattico. L’anidride carbonica così prodotta rimane intrappolata nella struttura glutinica della farina che, essendo elastica, si oppone all’espansione del gas, racchiudendolo all’interno degli alveoli e producendo di conseguenza un aumento di volume. I microrganismi che si sviluppano nell’impasto acido producono, durante la fermentazione, anche sostanze che, oltre a caratterizzarne il sapore, lo rendono più lungamente conservabile. Dalla fermentazione dei lieviti e dei batteri lattici ha origine tra le altre una sostanza che contribuisce a rallentare il raffermamento del prodotto: la glicerina, che funziona da emulsionante naturale e ha anche un lieve effetto antimuffa. Con tale processo si ottiene un impasto poroso che, durante la cottura in forno, si trasforma in un prodotto morbido e soffice, conservando a lungo queste qualità. La microflora presente nel lievito madre produce anche enzimi che influenzano le qualità reologiche (estensibilità) della farina, agendo su alcune componenti carboidratiche e proteiche. Gli enzimi prodotti sono pentosanasi, che degradano i pentosani abbassando la viscosità dell’impasto, proteinasi e peptidasi, che intervengono sulle proteine aumentandone la frazione solubile in acqua.
Questo miscuglio, aggiunto in una proporzione variabile dal 20 al 45% (in base alle diverse ricette) all’impasto del pane, fungerà da agente lievitante. È chiaramente una lievitazione “slow”, ma è proprio la lunga durata del processo che permette agli enzimi proteolitici di “lavorare” affinché avvengano le modificazioni citate, creando le premesse necessarie a che il prodotto finito abbia un alto contenuto in amminoacidi liberi, responsabili del ricco spettro aromatico (ogni lievito madre può sviluppare sino a 100 batteri lattici). Inoltre i pani così prodotti, essendo ricchissimi di fermenti lattici, contribuiscono a regolarizzare il transito intestinale. Un elemento molto importante, non ancora sufficientemente approfondito e valorizzato, è il fenomeno dell’aumento di vitamine e proteine nei pani prodotti con lievito madre. Partendo da semplici carboidrati questo sviluppo avviene grazie alle trasformazioni batterica e micetica (e non saccaromicetica) sviluppando rendimenti definiti “notevoli”.
Le farine
Per ottenere buoni risultati con la tecnica del lievito madre sono necessarie farine biologiche (non trattate con antifermentativi) derivanti da cariossidi non troppo secche e contenenti ancora il germe, utile perché ricco di enzimi. È solo grazie a quest’antica lavorazione che un enzima, la fitasi, presente nella parte più esterna del chicco di frumento, riesce a scomporre l’acido fitico – elemento insolubile – in composti altamente assimilabili, preservando l’organismo umano da possibili fenomeni di rachitismo, anemia e osteoporosi. I pani così prodotti risultano inoltre molto digeribili in quanto gli amidi sono stati “predigeriti”, scomposti cioè in molecole semplici, derivanti dalla prolungata azione enzimatica Tale lievitazione quindi garantisce una più facile digestione, preservando il nostro stomaco da fastidiosi gonfiori e dolorosi bruciori, spesso accompagnati da arsura improvvisa.
La preparazione del lievito madre, data la sua antichità, ha dato luogo a innumerevoli e diversificate ricette che vanno dall’Alto Adige alla Sicilia, utilizzano sfarinati differenti come la segale o il grano duro, producono impasti a volte molli o semiliquidi, a volte molto sodi che, avvolti in pezze di tela, sono legati con lo spago e appesi al soffitto per il tempo necessario alla fermentazione. Sempre a seconda delle regioni e delle ricette, si sono escogitati “trucchi” per agevolare la presa di fermentazione degli impasti, come per esempio l’aggiunta di un cucchiaino di miele o di zucchero, un cucchiaio di yogurt, alcuni cucchiaini di succhi di diversi frutti, di solito acidi e zuccherini come uva, prugne o susine, albicocche, mele, o addirittura acqua di ammollo dell’uva passa o alcune gocce di limone. Invece il sale disattiva il lavoro degli enzimi, quindi non deve mai entrare in contatto con la pasta madre.
Ricetta della pasta madre
Premessa: usate solo farina di grano, meglio grano duro, biologica possibil- mente fresca (macinata da poco – dopo un anno la farina non va più bene), integrale, semintegrale o bianca a vostro gusto; tenete presente che se totalmente integrale non lieviterà moltissimo e il pane somiglierà molto ai pani tedeschi, un po’ pesanti. Tagliate la farina con manitoba, che è una farina “di forza” e all’inizio aiuterà la lievitazione.
Temperatura: la pasta va messa a fermentare ad almeno 28°C. Il consiglio è di avvolgere la ciotola (mai di plastica) in una coperta di lana e ficcarla in un angolo lontano dalle correnti. L’acqua deve essere tiepida, non clorata e non troppo calcarea.
Rispettate i tempi: se accelerate l’operazione non riesce. Iniziate il lavoro il giovedì sera, così avrete il fine settimana per dare vita alla vostra pasta madre. Impastate 200 grammi di farina, un cucchiaino di olio, uno di miele (facoltativo) e aggiungete acqua. Lavorate fino a ottenere una massa elastica. Mettetela per quattro giorni in una ciotola a temperatura adeguata, coperta con un panno che bagnerete più volte, per evitare che secchi. Dopo aggiungete un poco di acqua tiepida (quattro cucchiai grandi) e un poco di farina e impastate di nuovo. Mettete via come prima per altre 48 ore.
Usate questa pasta per fare un nuovo impasto, aggiungendo via via una quantità pari a quella prelevata. Conservate in frigorifero. Dura una sola settimana, quindi usatela almeno una volta alla settimana; se non la usate reimpastatela con nuova farina e acqua.
Ingredienti 225 g di farina e 225 ml di acqua tiepida
Una volta preparata, la “madre” può essere conservata in frigorifero per una settimana. Prima dell’uso va riattivata aggiungendo farina e acqua e lasciando fermentare ancora per alcune ore. In questo modo i lieviti restano vivi a lungo, a disposizione per un nuovo pane.
Farina e acqua vanno sempre mescolate fra loro fino a ottenere un impasto omogeneo, quindi poste in un recipiente coperto con uno strofinaccio pulito, e fatte riposare al tiepido, lontano dalle correnti. Per raggiungere la giusta concentrazione di lieviti ci vogliono almeno tre tappe di fermentazione. Si parte senza lievito di birra. Se non vi fidate dell’arrivo spontaneo degli enzimi, potete aggiungere un poco di pasta del fornaio, oppure due cucchiai di yogurt bianco, o un cucchiaino di zucchero o di miele, o quattro cucchiaini del succo di un frutto acido e zuccherino come l’uva. La pasta è pronta quando risulta soffice, presenta diverse bolle d’aria e ha sviluppato un gradevole profumo acidulo.
Per fare il pane con la pasta madre servono 130 grammi di pasta madre e 300 millilitri di acqua per 500 grammi di farina. Il sale (marino) va aggiunto nella misura di circa due cucchiaini per chilo di pane e va aggiunto nell’ultimo impasto dopo averlo sciolto in acqua. È importante impastare a lungo per formare la maglia glutinica. L’impasto deve risultare liscio, elastico, morbido e non appiccicoso. Va posto a lievitare a temperature comprese tra i 28 e i 35°C. Evitate di esporre l’impasto a correnti d’aria che ne seccherebbero la superficie compromettendo il risultato finale. Se fosse possibile occorrerebbe utilizzare la “camera di lievitazione” con umidificatore acceso
L’impasto è pronto quando raddoppia il suo volume. Se la lievitazione si prolungasse troppo, la maglia glutinica che trattiene l’anidride carbonica si “romperebbe” compromettendo il risultato finale (caduta di lievitazione). Un pane del peso a crudo di un chilo deve cuocere per circa un’ora a 250°C.
A cura di Ugo Pazzi e Luisella Verderi
Photo Cretis: Pane Alessandro Paladino, pasta madre: Renata Alleva