IN QUESTO CASO LA DIFFERENZA
Si è tenuto venerdì 3 giugno, presso la CaciOsteria di Morolo, la presentazione ufficiale del PANINO CIOCIARO.
Occasione in cui tra giornalisti e addetti ai lavori hanno presieduto molti dei principali esponenti dell’Associazione Slow Food Lazio. Associazione che nelle figure di Stefano Asaro (presidente regionale), Tommaso Iacoacci (vice presidente regionale), Francesca Litta (fiduciaria della Condotta Terre de Cesanese) e Antonio Lauretti (fiduciario della Condotta di Frosinone) si prodiga nella salvaguardia di quanto possa rappresentare, al meglio, il BUONO, PULITO e GIUSTO nel nostro territorio e non solo.
Mi chiedo, ma di questo panino cera proprio bisogno?
Beh! Cita uno dei suoi inventori, “il panino ciociaro nasce una sera a cena con una bottiglia di troppo e un credo comune, offrire alla gente non solo un panino bensì un concetto, un metodo di collaborazione tra aziende di qualità al fine di promuovere un territorio e i suoi prodotti di qualità”.
Si ok! Ma sempre di un panino stiamo parlando. O forse no?
Consta di un PANE nato dalla mente di Luciano Sperati panificatore di Ferentino, paesino della provincia di Frosinone, e dalla sua collaborazione con i monaci dell’Abazia di San Paolo a Roma.
Un pane come alimento funzionale che, proprio per la sua lievitazione di 48/52 ore con fermenti lattici naturali, sa essere leggero e digeribile anche a coloro che spesso risultano leggermente intolleranti. Alla base di questa preziosa alchimia c’è una miscela di farine biologiche integrali, elemento che ne caratterizza l’aspetto scuro, quali il grano duro Senatore Cappelli, Orzo e Kamut, una leggera salatura con sale rosa Himalayano e una “impanatura” di segale. Elementi che, tutti insieme, concorrono a comporre quella struttura portante dalla scarsa mollica, caratteristica che ne preserva la naturale umidità e ne favorisce l’alta conservazione nel tempo, che per fattezza e modo di servirlo, il cuoco impone rigorosamente caldo, risulta essere croccante.
La farcia è un tripudio di prelibatezze rigorosamente ciociare come la STECCATA DI MOROLO, un formaggio alla piastra di pasta filata derivante da latte crudo vaccino, il cui nome si deve alla tradizione di stringere la forma tra due “stecche” di legno di faggio, durante le fasi di affumicatura e stagionatura, prodotto dall’antico caseificio di Massimiliano Scharchilli.
La SALSICCIA SPEZIATA DI BUFALA senza conservanti dell’azienda zootecnica Lauretti che opera nella Valle dell’Amaseno.
A condire il tutto poi entrano a pieno titolo l’OLIO EVO prodotto dall’Azienda Agricola della famiglia Quattrociocchi, il PEPERONE DOP DI PONTECORVO dell’azienda Rocca di Badia di Esperia riconoscibile per la sua polpa sottile e il suo gusto dolce, il ,CARCIOFO ROMANESCO, lavorati esclusivamente a mano, dal crudo, con metodi tradizionali e la sola aggiunta di aromi come la mentuccia romana, dell’azienda agricola Agnoni di Cori (provincia di Roma ma Ciociara pura).
A corollario di questa squadra non poteva mancare un cuoco come Felice Santodonato ambasciatore di un territorio e un nuovo concetto di fare cultura gastronomica, lo street food.
A questo punto, forte delle solide tradizioni ciociare e una presentazione così gustosa e invitante non mi resta che rispondere alla mia provocazione con un convinto SI e puntare per il futuro sulle intuizioni di questi validi imprenditori.