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L’Intervento di Slow Food Lazio al X Congresso nazionale di Slow Food Italia

 

Il congresso internazionale di Slow Food a Chengdu ha segnato per la nostra Associazione  un cambio di paradigma sostanziale scegliendo non solo di porre l’attenzione sul cibo buono pulito e giusto, ma con quel “…per tutti” è come se fossimo stati chiamati ad alzare lo sguardo dal nostro piatto e avessimo cominciato a guardarci intorno scoprendo di essere parte di una mensa universale a cui tutti hanno diritto di contribuire e partecipare.

Ovvero tutti, ma proprio tutti, nelle nostre città, nelle nostre regioni, in Italia e in ogni angolo del mondo, tutti hanno diritto ad accedere, ma anche a produrre, un cibo buono, pulito e giusto!

 

Purtroppo, invece, il divario nella distribuzione della ricchezza negli ultimi anni è peggiorato. La povertà assoluta e relativa coinvolge in Italia un numero sempre più alto di famiglie. La crisi economica è stata accentuata a causa della emergenza sanitaria:  in un anno di crisi in cui milioni di persone hanno perso il lavoro e si sono trovate in difficoltà economica, il numero dei milionari al mondo è in netta crescita. Secondo l’ultimo report sulla ricchezza mondiale nel 2020 il numero di persone con patrimonio netto del valore di almeno 1 milione di dollari è cresciuto del 6,3%.

 

In queste condizioni parlare di cibo per tutti potrebbe sembrare velleitario. Se poi vogliamo che sia anche di qualità allora potremmo entrare nell’utopia. Come uscirne allora? Come migliorare la distribuzione della ricchezza e l’accesso al cibo, legame indissolubile tra dignitoso lavoro e sopravvivenza?

 

Va inquadrata ogni misura in un’ottica di sostenibilità, di senso del limite, etica nei compensi e facilità di accesso al cibo. È una sfida globale che parte dalla lotta allo spreco di cibo, al sostegno ai piccoli produttori che devono poter offrire, saltando la gogna della grande distribuzione, i loro prodotti freschi e accessibili anche al domicilio delle persone, nei Mercati e nei negozi di vicinato.

 

In tal senso la call to action di Slow Food risulta essere ancora una volta una scelta rivoluzionaria, abbattendo muri, cancellando confini e costruendo ponti non solo geografici, ma anche culturali e sociali.

Un percorso di cui progressivamente stiamo avendo sempre più consapevolezza, dando il senso al nostro agire nelle Condotte e nelle Comunità, come testimoniano le progettualità, gli incontri, le attività, le comunicazioni, le relazioni.

 

Ed è per questo che come Slow Food Lazio ci teniamo che in questo congresso ci sia spazio e si dia la giusta risonanza a questa dimensione evidenziandone alcuni aspetti.

 

In primis l’agricoltura sociale. In occasione del Terra Madre-Salone del gusto abbiamo approfondito questo tema in almeno due occasioni coinvolgendo il mondo accademico, le realtà economiche, le imprese e ovviamente le Comunità Slow Food offrendo un interessante spaccato sul valore aggiunto distintivo che l’agricoltura sociale offre anche a Slow Food.

 

Perché un’azienda che fa agricoltura sociale – attraverso percorsi di crescita personale o di integrazione o riscatto – va a contaminare e connotare ogni passaggio della filiera che parte dal campo fino a diventare un cibo portatore di valori, storie e scelte coraggiose, di sudore e passione, talvolta anche di errori, ma anche di piccole-grandi conquiste. Comunque un cibo autentico, un cibo unico.

E se è vero che “noi siamo ciò che mangiamo”, chi mangia un prodotto frutto dell’agricoltura sociale, mangia un “cibo speciale”, che soddisfa non solo il palato e nutre il corpo ma fa bene anche al cuore e all’anima, e quindi anche noi diventiamo un po’ speciali: portatori di quei valori etici e co-produttori di benessere.

 

Raccontare tutto ciò non è semplice, e bisogna farlo bene, perché la vera sfida è quando si esce dallo spaccio aziendale e si partecipa al “mercato contadino” o si propone il prodotto a un ristoratore. Lì il confronto con gli altri prodotti che sono sul mercato è anche sul prezzo, sulla qualità, sulle proprietà organolettiche, sulla distribuzione…

 

Ed è qui che Slow Food può portare il suo contributo prezioso innervando i prodotti e la cultura dell’agricoltura sociale in tutte le sue progettualità e nella sua capillare rete, così come già facciamo con altri prodotti e rispetto a cui è riconosciuta e apprezzata la nostra autorevolezza e competenza: nei Mercati della Terra, nell’Alleanza dei Cuochi, nelle Etichette narranti, nelle Mense scolastiche, nei Master of Food, negli Orti in Condotta, nei progetti di educazione alimentare…

 

Per realizzare ciò riteniamo che i tempi siano maturi per costituire una rete nazionale e internazionale che potrebbe denominarsi Slow Social Agriculture o Slow Social Farming  composta da portavoce di Comunità e Condotte, rappresentanti di aziende e cooperative sociali ed esponenti del mondo accademico, organismi non profit per mantenere vivo il confronto, produrre contenuti, attivare percorsi formativi, essere interlocutori con le istituzioni, associazioni non profit e organizzazioni datoriali, rifuggendo da qualsiasi atteggiamento pietistico ed evitando qualsiasi spirito corporativo. Perché non dobbiamo “lavorare per”, ma “lavorare con”.

 

La dimensione sociale in ambito produttivo richiama direttamente alla nostra attenzione una delle piaghe più sanguinanti: il caporalato che potrebbe essere definito come un’agricoltura anti-sociale. Ne sentiamo parlare spesso e spesso pensiamo che siano realtà molto lontane da noi, salvo poi ritrovarsele a pochi metri da casa. Per noi nel Lazio il caporalato è un fenomeno che purtroppo nel tempo ha avuto anche sviluppi drammatici, da cui sono nate manifestazioni pubbliche nella provincia di Latina a cui abbiamo aderito per denunciare lo sfruttamento di lavoratori, nella maggior parte dei casi extracomunitari provenienti dai Paesi più poveri del mondo e costretti a turni massacranti e a condizioni di vita al limite per qualche euro al giorno.

 

Ma cosa alimenta questo fenomeno e come si può arginare questa piaga?

La risposta è valorizzazione e virtuosismo. Dove per valorizzazione s’intende chiaramente quella dei prodotti ma anche dei luoghi, tipicità, terreni e di conseguenza delle condizioni dei braccianti che li lavorano.

Il virtuosismo, invece, arriva dalla conoscenza e dalla scelta consapevole. In questo senso possiamo continuare imperterriti a sensibilizzare scelte più etiche e rispettose per far sì che il circolo vizioso oggi innescato dalle pubblicità, dai fast food e dalle GDO possa invece evolversi in un circolo virtuoso, dove il consumatore attento cercherà per la sua tavola un prodotto che rispecchi determinati standard qualitativi buoni, puliti e giusti per tutti di cui sopra e che quindi gli organismi di distribuzione siano costretti a proporre in virtù della richiesta, secondo la legge di mercato della domanda e dell’offerta.

Tutto ciò permetterebbe alle aziende di stabilirsi sul mercato con prezzi di riferimento differenti senza così avere il bisogno di sfruttare determinati sistemi che vanno a discapito della salute umana e ciò che è l’eticamente giusto per tutti.

 

Ma ciò che avviene sul lato aziende non è sufficiente a estirpare un fenomeno che ha radici antiche e richiede una profonda trasformazione sociale e culturale. Innanzitutto favorendo l’inserimento nel mondo del lavoro attraverso dei tirocini formativi che possano ampliare la gamma di opportunità, finanche a promuovere l’autoimprenditorialità.

 

In tal senso nel Lazio abbiamo sviluppato un progetto di inserimento lavorativo di migranti attraverso tirocini formativi in aziende agricole e agricoltura sociale, di trasformazione agricola e di ristorazione in collaborazione con lo Sprar centrale. Slow Food può essere un intermediario molto attivo fra le piccole e le medie aziende della sua rete e lo Sprar. Inoltre siamo diventati partner del progetto della Caritas per dare vita alla Scuola per Contadini rivolta a giovani, italiani e stranieri.

 

Abbiamo aderito al Forum per cambiare l’ordine delle cose legato all’accoglienza e al primo soccorso dei migranti che arrivano in Italia e abbiamo aderito al Gruppo GREI 250.

 

Facciamo parte da alcuni anni della Rete Antitratta insieme a organismi non profit  e sindacali che ha lo scopo di sensibilizzare i migranti a usufruire delle tutele previste dalla legge e al rispetto dei diritti del lavoratore con banchetti in strada e incontri con gli attori del territorio.

 

Inoltre abbiamo organizzato numerose tavole rotonde e seminari per sensibilizzare gli associati, l’opinione pubblica e le istituzioni su questi aspetti.

 

Altrettanto importante per Slow Food Lazio è la promozione della diffusione di cucine migranti, come ad esempio Hummustown, una cooperativa di catering di cibo siriano nata con l’intento di offrire un primo approdo a rifugiati siriani e mediorientali. Mentre a Roma dopo il progetto Tavole solidali, realizzato in collaborazione con l’Ass. Baobab Experience di qualche anno fa, è nata nei giorni scorsi la Comunità Slow Food delle cuoche migranti, composta da donne che hanno seguito i corsi di cucina di Slow Food e si stanno organizzando per proporre cucina multietnica nel Lazio. A Viterbo nelle prossime settimane partirà in collaborazione con l’Arci un ciclo di laboratori del gusto dedicati ai Piatti della Festa a cura delle diverse comunità locali africane e asiatiche.

 

Tutte queste iniziative  sono piccoli semi, e chissà quanti ce ne sono simili nel resto d’Italia e nel mondo, che meritano di essere sviluppati in un lavoro di rete con Slow Food Italia e Slow Food Internazionale per portare frutti ancora più copiosi.

 

Infine vogliamo richiamare l’attenzione su una fetta di consumatori che spesso sono tagliati completamente fuori da i nostri ragionamenti di cibo buono, pulito e giusto per tutti. Mi riferisco alle persone disabili fisiche e psichiche, agli anziani e agli ammalati rispetto ai quali non solo negli ospedali ma anche nelle RSA e nei ristoranti nella maggior parte dei casi il rapporto con il cibo è svilente nella forma, nella consistenza e nel sapore. Poco prima della pandemia nella nostra regione avevamo elaborato il progetto “Diversamente ghiotti” che consente di formare i cuochi e il personale di sala affinché possa essere somministrato attraverso adeguati accorgimenti un cibo dignitoso.

 

Sono sfide che per qualcuno possono apparire distanti dalla pratica di Slow Food, ma per noi è arrivato il momento, ed è questo, di alzare lo sguardo e mettere il naso anche nel piatto degli altri, che spesso è vuoto, altre maleodorante, altre ancora indigesto se non avvelenato o insanguinato.

Sta a noi oggi scegliere, qui-e-ora, ma anche domani e dopodomani, di promuovere non solo un ambiente e un cibo, ma anche un’economia e una società più buona, più pulita, più giusta e soprattutto per tutti, nessuno escluso.