26 Agosto, vista lago a Suviana
Partiamo da Poranceto a quasi 900 metri in un meraviglioso bosco di castagni. Marinella socia CAI di Bologna, ci descrive la lotta alla vespa cinese che, dopo i danni dell’ anno scorso, dovrebbe lasciare spazio ad una buona produzione di castagne.
Dopo la salita ai 1200 metri al Monte di Stagno ben percorsa anche grazie alla precisa cartina preparata da Erica, la compagnia non ci fa sentire lo sforzo della camminata e la vista sul lago di Suviana è mozzafiato! La bellezza dell’itinerario e la compagnia piacevole di Paolo, Marinella ed Erica soci CAI di Bologna ci permettono di arrivare con poco sforzo al Lago di Suviana. Anche questo e’ un luogo magico e pieno di fascino. Da Suviana ci trasferiamo nella azienda di Andrea Mussi un giovane agricoltore che a monte di Porretta ha realizzato il Birrificio del Reno e poco distante, verso Badi ha la sua azienda agricola La Tartaruga dove produce castagne, miele e d erbe aromatiche utilizzate anche nella produzione della propria birra.
Incontriamo al Mercato organizzato da Slow Food Bologna in occasione del Comizio agrario del tardo pomeriggio: Silvia dell’ azienda agricola Belvedere che produce formaggi (ottimi quelli di capra). Poi parliamo con Francesco che realizza diversi trasformati alimentari e sogna un mondo senza petrolio, quindi Daniela ci fa assaggiare una tigellla e alcuni biscotti della sua azienda Fuoco e grano. Caterina de “La Cantinetta” ci presenta le sue confetture dai gusti inediti. Carlo Monduzzi, uno dei produttori dell’ Associazione degli apicoltori Val Limentra, insieme ad Andrea Mussi (il birraio) e ad Enzo Elmi ci parlano dei mieli di acacia e di castagno. Infine Niccolò Savigni titolare della omonima e vicinissima macelleria di Pavana ci presenta salumi dai profumi a dai sapori intensi e decisi, praticamente indimenticabili. Il castagno, i mieli, le birre, i formaggi, le tigelle, le confetture, i salumi, i biscotti rappresentano una biodiversità a volte indescrivibile con le parole ma che noi integriamo con fotografie, filmati e in una parola ‘storie’ di persone e di territori.
dai camminatori Pierluigi e Michele
I pregi del selvatico: una nuova filiera della selvaggina secondo Aldo Zivieri
«La selvaggina fin qui è stata vista solo come un problema, noi ci abbiamo creato una nuova filiera produttiva improntata alla qualità e anche al rispetto del territorio>. Aldo Zivieri, della famiglia di macellai di Monzuno, intervenuto al Comizio agrario, spiega come il “selvatico” possa trasformarsi in risorsa e come sia possibile farlo nel rispetto delle regole e dell’ambiente. La famiglia Zivieri ha rilevato da circa due anni il macello di Castel di Casio, ristrutturato sette anni fa con ingenti risorse pubbliche e che come molti altri piccoli macelli di montagna rischiava la chiusura. La struttura viene ora utilizzata prevalentemente per macellare e trasformare carni di ungulati (cervi, daini, cinghiali, caprioli) abbattuti in selezione, nonché messo a disposizione anche di altri piccoli allevatori del territorio.
«Si parlava circa un anno fa di circa 18mila cinghiali sul nostro Appennino e 23mila caprioli, numeri altissimi destinati a crescere -spiega Aldo Zivieri -. I piani di controllo della fauna selvatica si sono dimostrati inefficaci».
La famiglia Zivieri ha però voluto dimostrare che gli animali selvatici, di cui l’Appennino abbonda possono essere anche una risorsa per la produzione agroalimentare di qualità, seguendo le regole, sottraendo anche terreno al mercato nero delle carni di selvaggina, che costituiscono anche un rischio maggiore tanto per l’ambiente e la fauna, quanto per il consumatore.
«Noi che lavoravamo già carni di Granda piemontese, Mora romagnola, Cinta allevata allo stato brado, abbiamo scoperto il capriolo e il cervo, il cinghiale. Carni di valore altissimo a livello nutrizionale: basta pensare alla quantità considerevolmente minore di colesterolo rispetto anche solo alle carni di un pollo o di un maiale di allevamento, il fatto è che sono animali che vivono liberi per almeno quattro anni, correndo in una natura incontaminata. Lo so che il tema della caccia è delicato e c’è chi la considera ingiusta, ma la mancanza di controllo della fauna selvatica porta comunque danni. Nel contempo si assiste al paradosso dell’importazione di selvaggina dall’estero».
I cacciatori di cui si serve l’azienda Zivieri sono convenzionati con i Parchi, i territori interessati sono quelli dei Gessi dell’Abbadessa, di Monteveglio e dei laghi, della prima provincia di Pistoia; abbattono in maniera selezionata, rispettando i tempi riproduttivi delle varie specie, le carni vengono macellate e controllate dal punto di vista sanitario, cosa che ovviamente non avviene per la selvaggina che circola sul mercato nero. <In questo modo anche i cuochi che si servono da noi possono avere materia prima garantita e “comunicabile”, afferma Zivieri. Questa filiera al momento è unica in Italia, oltre ai punti vendita della macelleria Zivieri coinvolge già diversi ristoratori del Bolognese.
(Testimonianza raccolta da Laura Giorgi – Slow food Emilia Romagna)
«Il futuro possiamo subirlo, oppure progettarlo». L’intervento di Mario Cucinella al Comizio agrario
Un filo conduttore che accomuna agricoltura e architettura. Può esserci: nel cambio di sistema, nella creazione di nuove filiere, nel futuro in rete, quella invisibile del web sì, ma soprattutto quella di sostanza: la rete delle relazioni.
C’è stato questo e molto di più nell’intervento conciso e illuminante di Mario Cucinella, architetto, designer, anima ambientalista, ospite del Comizio agrario di Suviana. Un architetto che parla di agricoltura? Perché no. «Entrambi gli ambiti stanno maturando una visione nuova. Stanno capendo quanto sono importanti i territori, la diversità delle culture e quanto questo si esprima poi attraverso i prodotti. Avviene in agricoltura e avviene in architettura, perché stanno cambiando le strutture intellettuali e culturali dei mestieri, dobbiamo cambiarle altrimenti non ce la facciamo a stare al passo col cambiamento. La domanda fondamentale è: il futuro vogliamo subirlo o progettarlo? Beh io la mia risposta ce l’ho».
In parte questo futuro l’architetto genovese trapiantato a Bologna lo “progetterà” proprio nel capoluogo da settembre nella School of Sustainability da lui fondata. E l’acronimo SOS non sembra nemmeno casuale…
La scuola servirà alla formazione di nuove figure professionali nel campo della sostenibilità in grado di affrontare le sfide del futuro e governare i processi di trasformazione in atto, sarà aperta, ha spiegato Cucinella, <a giovani creativi e ricercatori, professionisti e imprese del settore per sviluppare progetti innovativi con un impatto positivo sulla società, l’economia e l’ambiente, attraverso la ricerca e la sperimentazione>, in rigenerazione dell’ambiente urbano, per promuovere lo sviluppo sociale e la resilienza, per innovazione e sostenibilità per l’industrial design. E più che costruire nuovi edifici, la chiave per il futuro sarà soprattutto <creare reti>. Come anche questo viaggio lento, a piedi lungo i crinali meno battuti della nostra regione, a suo modo sta già facendo.
(Testimonianza raccolta da Laura Giorgi – Slow food Emilia Romagna
Il produttore: un birraio di montagna, Andrea Mussi e la sua Birra del Reno
Voleva far perdere le tracce di sé approdando un giorno alle Galapagos, inseguendo le rotte delle tartarughe attraverso i mari e le terre più lontane. Per qualche anno lo ha fatto, in Messico, e nel Mediterraneo, <prima di perdermi a fare cose concrete> dice. Le tartarughe ora le porta tatuate su entrambe le braccia e “La tartaruga” è il nome della sua azienda agricola sospesa fra Badi e Pavana, fra il lago Suviana e la foresta appenninica. Un “montanaro” sui generis Andrea Mussi, capello lungo, anima rock, passione per Dylan Dog, apicoltore, allevatore di asini, agricoltore, conoscitore della montagna, ascoltatore degli animali che osserva, fotografa e registra. Birraio prima di tutto visto che suo è il marchio Birra del Reno.
Ma se la sua birra artigianale si beve anche nel cuore della Bologna universitaria e nottambula, c’è da credergli quando dice che il mondo del luppolo <è diventato troppo glamour> e non è quello l’elemento che lui preferisce. Ma produrre la sua birra sì, quello gli piace, ai suoi ritmi solitari. <Improntati alla decrescita>dice, ma scherza, in fondo da solo produce circa 300 ettolitri di birra all’anno. Poi però racconta di quando l’inverno scorso si ruppe un pezzo dei macchinari per la cotta e fin lassù, oltre Porretta, il ricambio non sarebbe arrivato prima di una settimana. Allora lui telefonò ai suoi clienti: <Ragazzi, abbiate pazienza. Per qualche giorno c’è da aspettare, io vado a pattinare con mia figlia, intanto>. Hanno aspettato la sua birra.
Bianca quella in bilico fra una blanche e una saison, Nera la stout, Ambra (da cui fa estrarre anche un distillato) cinque malti e tre luppoli, è il suo cavallo di battaglia quando esce con la spina, Viola una doppio malto stile abbazia, Rossa la brown ale sono le sue birre; <ma in realtà sono tutte abbastanza fuori dagli stili canonici> specifica lui che le produce.
«Prima della birra c’era l’azienda agricola, in particolare legata al castagno – racconta Andrea -. Nel 2004 andai a lavorare in un birrificio che con le castagne aveva iniziato a fare la birra, la passione per la birra ebbe il sopravvento. Dal 2013 ho il mio impianto da 500 litri, tutto manuale, e occupo questo casolare che è un ex caseificio. Utilizzo cereali della zona, il farro lo prendo da Gaggio Montano, l’orzo da un piccolo tostatore di Pistoia, per la maggior parte del malto d’orzo, quello per la base di tutte le birre, aderisco a un gruppo di microbirrifici artigianali che se lo fa produrre in Friuli, come e quanto ci serve, vogliamo essere sicuri che sia proprio nostro. Quella piccola parte di orzo tostato che non è coltivato sotto il mio controllo o locale, è comunque selezionato e giustificato da una altissima qualità, così il luppolo. Per innescare la fermentazione in alcuni casi utilizzo il miele prodotto da me, per le aromatiche prendo quelle del mio orto: lavanda e timo, mentre sua fragranza l’achillea la raccoglie mia mamma nei campi e nel bosco, dove cresce spontaneamente. Oltre i 700 metri è più intensa, quasi balsamica, la migliore».
La vita in montagna fa per lui, anche se, dice, «far conoscere e usare il proprio prodotto vicino a casa è ancora la cosa più difficile e dire che sarebbe la forza di questi luoghi, credere e promuovere le proprie piccole produzioni». Qualcuno che fa rete c’è comunque, per fortuna. Andrea ci suggerisce di assaggiare la pizza a La prossima, una pizzeria di montagna, poco prima di Badi, gestita da una famiglia il cui capostipite ha origini campane e sulla pizza studia di continuo e propone ricette antiche e saporite, con l’impasto a lievito madre, accompagnandole alle birre di Andrea, le birre del Reno.
A tavola Andrea svela tutta la sua anima montanara, fatta di profonda conoscenza del territorio, delle piante, della fauna «qui arrivano da tutta Europa, non sono tanti invece gli italiani a parte quelli che hanno la seconda casa, per fotografare i cervi nella stagione degli amori, i daini, gli animali del bosco. Già questo rappresenterebbe una risorsa fantastica se valorizzata a dovere».
Chissà se alle tartarughe e alle Galapagos ci pensa ancora, Andrea non lo dice. Lì dove vive e lavora non c’è l’Oceano, ma il lago sì e pure la foresta e intorno a lui tutto sembra calmo, come al passaggio lento di una testuggine.
di Laura Giorgi – Slow food Emilia Romagna