21 Agosto, finalmente a Brisighella

image_large-3Dopo una veloce passeggiata per il centro di Brisighella siamo giunti al Cab, Cooperativa agricoltori brisighellese dove Giuliano Monduzzi, socio della cooperativa, ci ha accompagnati nel nostro percorso dall’ oliva alla sua lavorazione che la trasforma in olio.

Successivamente  ci trasferiamo all’interno dello spaccio dove Franco Spada presidente del Consorzio dei produttori dell’olio di image_preview-10Brisighella ci racconta tre oli: Pieve Thò, Brisighello e Nobil Drupa facendoceli degustare. Da qui ci muoviamo verso la Valletta, la più bella valle degli ulivi per visitare l’allevamento di suini di razza mora romagnola di proprietà di Mario Guaducci. E’ un angolo di collina con gli animali allo stato semibrado dove si apprezza la bellezza del luogo e la sua rusticità, soprattutto il duro lavoro quotidiano di Mario e di sua moglie.

Riprendiamo l’auto e dopo una breve sosta a Brisighella per il pranzo ci dirigiamo all’azienda Donna Livia in località Torre di Cavina. Qui una famiglia appassionata e sognatrice sta cercando di inglobare la coltivazione dei tantissimi ulivi in un ambizioso progetto che comprende escursioni a cavallo, bed and breakfast piuttosto esclusivo ed eventi vari in una splendida cornice paesaggistica.

La nostra ultima tappa è il trekking che ci porta in un’oretta e mezza con partenza da Brisighella al rifugio Ca’ Carnè dove assistiamo al comizio agrario con un ottimo intervento istituzionale di Piero Sardo presidente della Fondazione internazionale per la biodiversità. Successivamente Franco Spada ha descritto in modo chiaro le tipicità e le unicità del territorio Brisighellese. Lucia Ziniti, viticoltrice dell’azienda agricola Balducci, ci ha descritto infine il recupero di una antica varietà di vite e del grano antico gentil rosso. A seguire la cena con i cuochi di Chef to chef nel rifugio.

dai camminatori Pier Luigi, Giancarlo, Ilaria e Vanda

Slow food e la biodiversità domestica, l’intervento di Piero Sardo al Comizio agrario

image_large-4Perché un’associazione come Slow Food nata per gioco, per parlare di enogastronomia oggi fa gli orti in Africa, parla di ambiente e affronta questioni complesse, difficili? Tutta “colpa” di un peperone. L’aneddoto è quello che costituiva anche l’incipit di “Buono, pulito e giusto” il libro pubblicato da Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, nel 2005. Lo ha ripercorso Piero Sardo, cofondatore del movimento, e oggi presidente della Fondazione per la biodiversità, ospite del Comizio agrario il 21 agosto a Brisighella. Era il 1996, Slow food esisteva da una decina di anni, la “combriccola di gourmet” si ferma in una nota osteria di Bra, chiede un piatto a base del tipico peperone quadrato di Asti. L’oste lo serve ma il gusto non è lo stesso che i gourmet ricordavano. «Vien fuori che quei peperoni nelle campagne piemontesi non lo coltiva più nessuno, i peperoni arrivano dall’Olanda, dice l’oste, sono più grossi, meno saporiti, e meno cari.image_preview-11 In quei campo dietro l’angolo dove maturavano i peperoni seminano bulbi… di tulipano». Una varietà di peperone che sparisce, un piatto tradizionale che sbiadisce inesorabilmente, una consapevolezza: la biodiversità agricola, ma soprattutto umana, in crescente pericolo.

«Ci rendiamo conto che è diventato inutile ragionare di un piatto se non ci si chiede prima da dove arriva e come c’è arrivato quello che c’è dentro. La scomparsa di un peperone ci cambia la vita – sintetizza Piero Sardo -. Esistevano ancora i prodotti cosiddetti tipici? Erano veri o erano diventati una truffa? Il nuovo cammino comincia da lì. Abbiamo cominciato a guardare cosa si andava perdendo, varietà agricole ma anche preparazioni. Un formaggio rappresenta esso stesso biodiversità e se se quel formaggio non si fa più, si perde un mondo, una pratica, un latte, una razza di mucca. Di questo particolare pezzo di biodiversità ci interessiamo noi: biodiversità domestica». Sono nati così i progetti dell’Arca del gusto, poi dei Presìdi Slow Food e dei Mercati della terra. «Siamo piccoli, siamo un’associazione, e non abbiamo fatto la rivoluzione. Ma con anni di impegno ora possiamo dire che abbiamo ottenuto qualcosa: cambiare il contesto culturale intorno al cibo. E ora sappiamo che attingere alla biodiversità domestica, preservarla, ci consentirebbe di vivere meglio sul nostro pianeta».

(testimonianza raccolta da Laura Giorgi – Slow food Emilia Romagna) 

L’intervento di Franco Spada presidente del Cab di Brisighella al Comizio agrario

Per parlare e capire l’olio extra vergine di oliva DOP Brisighella occorre incentrare  l’attenzione  all’area di produzione. Questa è un cerchio di circa venti chilometri di diametro con centro il Borgo di Brisighella.  E’ costituita da un mosaico agro-forestale dove vivono circa 100.000 piante di olivo ;  a quote variabili fra i 100 e i 350 m s.l.m.. L’area presenta una delle realtà olivicole più interessanti dell’Italia del Nord con testimonianze scritte sulla produzione dell’olio risalenti al XV secolo e reperti archeologici di un antico frantoio   romano ,  presso l’Antica Pieve in Ottavo , ne testimoniano la presenza fin dall’epoca romana.

La produzione locale ha caratteristiche di ottime qualità, l’olio è stato il primo ad avere il riconoscimento D.O.P. nel 1996 con la denominazione “Brisighella” D.O.P..  L’area può giovarsi di naturale protezione dalle correnti atmosferiche più fredde data la conformazione della valle ad anfiteatro con la parte più soleggiata a sud-ovest. Una parte dell’area ricade all’interno del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola e del Parco Naturale del Carnè. La Vena del Gesso Romagnola è costituita da falesie dove gli strati di gesso sono rimasti scoperti mentre tra uno strato e l’altro si sono inserite forme di vegetazione termofila e xerofila. Si tratta di un ambiente unico formato da un complesso carsico che si configura come una lunga cresta rocciosa di selenite, ricco di grotte di gran interesse speleologico e di caratteristiche conformazioni carsiche che contribuiscono a connotare il paesaggio locale e che nel caso specifico hanno la funzione di accumulo di calore in estate per poi rilasciarlo in inverno “ mediterraneizando  l’ambiente “ ; infatti questo ambiente mediterraneo atipico , non è  influenzato ne dà mari ne dà laghi ma dal terreno .  E’ proprio grazie a questo unicum ambientale che la coltura dell’olivo riesce a sopravvivere ed adattarsi al clima sviluppando la crescita di cultivar locali come la Nostrana di Brisighella , la Ghiacciola e l’Orfana .  Anche l’olio che ne deriva è un unicum con caratteristiche organolettiche   legate a questo unicum ambientale, relativamente freddo, fattore che ne esalta gli aromi e che contrasta la presenza di parassiti tipici delle grandi aree vaste dell’olivo.

di Franco Spada