C’è un villaggio in Africa in cui l’agricoltura è al servizio della comunità, in cui si allevano solo le mucche e i polli necessari a nutrire le donne e gli uomini, i bambini e gli anziani, secondo i propri bisogni e nel rispetto delle capacità di ognuno.
Un villaggio dove il concetto di gastronomia viene vissuto nel suo senso più pieno, olistico.
Non sto parlando di un’utopia ma di Awra Amba, il “villaggio sulla collina” fondato negli anni Settanta da Zumra Nuru, un coraggioso e visionario contadino che ha sfidato le tradizioni della sua terra e ha creato un luogo in cui non c’è povertà, sfruttamento o ineguaglianza di genere.

Oggi 500 persone fanno parte della comunità che si trova nell’Etiopia settentrionale. Zumra è diventato un eroe internazionale e anche noi di Slow Food abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo, aiutando la comunità a migliorare il raccolto e ad aumentare la sicurezza alimentare.
Awra Amba, infatti, fa parte del progetto Diecimila Orti in Africa. Grazie alle donazioni e alla formazione dei contadini, oggi non vengono più utilizzati fertilizzanti chimici ma compost, mentre una pompa idrica a energia solare assicura l’acqua nei lunghi mesi siccitosi.
Nuovi utensili e semi adatti al clima hanno reso il raccolto rigoglioso, garantendo un apporto nutrizionale adeguato: lattughe, pomodori, peperoncini, bietole, zucche, patate dolci, barbabietole e kale, una varietà locale di cavolo, fanno sì che il nostro motto “buono, pulito e giusto” arrivi anche in queste remote terre africane.
E c’è un altro motivo per cui sono fiero di raccontare questa storia: grazie a lui siamo riusciti a far salire sull’Arca del Gusto, il catalogo mondiale dei cibi a rischio di estinzione, prodotti come il tikur teff difo dabo, il pane cotto a legna nei tradizionali recipienti di argilla, e l’olio di semi del noog, una varietà erbacea locale, che diventerà presto un Presidio Slow Food.
Quando mi hanno parlato di lui per la prima volta ero letteralmente rapito, tant’è che subito abbiamo cercato di coinvolgerlo nella nostra rete.
Ma come ha fatto Zumra Nuru a vedere realizzato il suo sogno? «Sono figlio di contadini, quando ero piccolo accompagnavo mio padre e mia madre nei campi. Al ritorno, lui si riposava, lei continuava a lavorare in casa. Allora ho cominciato a chiedermi perché le donne devono essere sottomesse, perché bambini e anziani hanno meno diritti e cosa spinge un uomo a sfruttarne un altro».
Zumra è una persona tenace che mai si abbatte. Lo si capisce subito guardandolo negli occhi, dal tono della voce: «Tutta la mia esistenza è stata dedicata a sconfiggere queste ingiustizie, a vivere in una realtà più armoniosa».
Il percorso di Awra Amba è stato tutt’altro che semplice. Zumra viene dipinto come un pifferaio magico, additato dalla sua famiglia come malato di mente, accusato di essere un guerrigliero opposto al Derg, il governo militare al potere tra il 1974 e il 1987.
Gli attentati alla sua vita e a quella dei compagni spingono la comunità a cercare esilio nell’Etiopia meridionale, rinunciando alle proprie fattorie e ai mezzi di sussistenza. Molti muoiono di malaria e di fame. «Quando nel 1992 siamo tornati ad Awra Amba eravamo senza denaro, senza cibo e avevamo perso la terra. Anche le comunità vicine erano diventate aggressive. Siamo sopravvissuti cinque anni mangiando una zuppa fatta con i semi delle piante di cotone. La davamo prima ai bambini e poi dividevamo gli avanzi tra di noi».
Zumra insegna ai compagni l’arte tradizionale della tessitura e l’attività inizia a generare qualche utile. Con il tempo, l’ostilità dei vicini si placa, anche perché i membri di Awra Amba non reagiscono con violenza. Anzi, cercano di rabbonirli, ascoltandoli e condividendo esperienze con loro: «Come alleviamo i nostri figli con pazienza, così abbiamo fatto con gli altri. Altrimenti, in base a cosa saremmo migliori?».
Carlo Petrini
da La Repubblica del 15 febbraio 2018